“Il divieto d’arresto sarebbe più coerente” – Raffaele Cantone, ne “Il commento”, su Il Mattino di Napoli, ed. naz. di sabato 14 gennaio 2012

La decisione della Camera dei deputati con cui è stata respinta l’autorizzazione all’arresto dell’on. Cosentino ha scatenato tante polemiche, alcune delle quali nate anche dalla confusione creatasi su quale sia stata l’effettiva decisione del Parlamento.
Perciò, prima di affrontare alcuni aspetti della vicenda, è forse opportuno chiarire cosa sia accaduto davvero alla Camera, partendo dalla normativa costituzionale sul punto.
La Costituzione, come approvata dall’Assemblea costituente, prevedeva che per procedersi nei confronti di un parlamentare (e cioè per sottoporlo a processo) era necessaria l’autorizzazione della Camera di appartenenza.
Era una norma che era stata fortemente voluta anche dagli esponenti dell’opposizione, perchè aveva l’obiettivo di tutelare anche e soprattutto le minoranze parlamentari; si voleva evitare che azioni giudiziarie strumentali potessero incidere sull’esercizio delle prerogative e poteri dei parlamentari, impedendo la loro necessaria e fisiologica libertà di azione.
L’encomiabile intenzione dei padri costituenti aveva trovato, però, una molto discutibile applicazione; l’autorizzazione a procedere veniva negata non nei casi in cui l’azione apparisse persecutoria per il parlamento, ma pressochè sempre, creando una sorta di immunità per deputati e senatori, fino a quando sedevano in Parlamento.
Durante il periodo di tangentopoli, in una fase particolare della vita dello Stato, la norma della Carta che prevedeva la regola citata (l’art. 68) venne modificata dal Parlamento medesimo sotto la spinta della piazza; si eliminò l’autorizzazione a procedere e si lasciò solo l’autorizzazione all’arresto in via cautelare, fermo restando che nessuna autorizzazione è necessaria nel caso di una sentenza di condanna definitiva; in questo caso il parlamentare è parificato al comune cittadino.
L’autorizzazione all’arresto in virtù di un provvedimento emesso da un giudice andrebbe negata nei soli casi in cui il Parlamento ritenga che il provvedimento restrittivo sia il frutto di una volontà persecutoria verso il deputato o il senatore.
La decisione sul punto è insindacabile da parte di qualsiasi altro organo; in pratica, una volta negata l’autorizzazione nessuno può valutare se la scelta parlamentare sia corretta o meno.
Alla luce di quanto detto, è evidente che nessuna “assoluzione” è stata pronunciata nei confronti dell’on. Cosentino, come pure da qualcuno in questi giorni è stato detto; saranno, invece, i giudici a dover stabilire se il deputato casertano sia o meno colpevole rispetto alle imputazioni mosse e la decisione della Camera non precluderà la possibilità di procedere al processo nè vincolerà in alcun modo i giudici.
Essa avrà come unico effetto quello di dover processare il parlamentare, come si dice in gergo “a piede libero”.
Non si tratta, quindi, di nessuna sconfessione dell’operato di pm e giudici perchè in un sistema moderno, orientato al principio della separazione dei poteri, sono i soli giudici dei vari gradi del processo a poter stabilire innocenza e colpevolezza.

Il Parlamento con il suo voto ha, invece, ritenuto che nel provvedimento vi fosse il cosiddetto fumus persecutionis, e cioè il sospetto che quella scelta di arrestare il deputato fosse animata da volontà persecutoria.
Chiariamo subito che la scelta del Parlamento è, sul piano formale, indiscutibilmente legittima; desta, però, qualche perplessità, soprattutto di principio, che è legittimo esprimere perchè gli atti del Parlamento (così come del resto quelli dei giudici) sono suscettibili del controllo critico dell’opinione pubblica.

In questa prospettiva è utile ricordare come i provvedimenti di diniego all’arresto siano divenuti quasi la regola; negli ultimi anni, tranne il recente caso dell’on. Alfonso Papa, non si ricordano decisioni di segno avverso; e ciò è avvenuto con riferimento alle richieste avanzate dalla magistratura di qualunque luogo e per qualunque reato si procedesse.
Forse che questa “prassi” dipende da una magistratura incapace, faziosa e sempre in errore?

Si tratta di una domanda evidentemente retorica (anche se a questa idea qualcuno forse crede!), perchè bisognerebbe poi spiegare, ai cittadini comuni, perchè i giudici – spesso gli stessi i cui provvedimenti vengono “criticati” nelle aule parlamentari – vengono esaltati e lodati, anche pubblicamente, quando chiedono od emettono misure cautelari eseguite contro latitanti, assassini, estorsori e mafiosi.
Il dubbio, legittimato anche dalle trattative che avvengono più o meno alla luce del giorno a margine, è che le scelte parlamentari avvengano per motivi squisitamente politici, in ragione di logiche di opportunità, collegate al “peso” del soggetto di cui si discute, in gran parte prescindendosi dal merito e dalla gravità delle accuse.
Ed allora, non sarebbe più coerente (e forse più coraggioso) prevedere esplicitamente che i Parlamentari non possono mai essere arrestati?
Sarebbe il modo più corretto e lineare per evitare che su questioni e categorie giuridiche ci si confronti con metodi e logiche che con il diritto poco hanno a che spartire.

2 pensieri su ““Il divieto d’arresto sarebbe più coerente” – Raffaele Cantone, ne “Il commento”, su Il Mattino di Napoli, ed. naz. di sabato 14 gennaio 2012

  1. non sono d’accordo, che si deve salvaguardare chi svolge un mandato parlamentare.
    Io penso che se un cittadino anche se parlamentare sia responsabile di fatti che non hanno niente a che vedere con il mandato parlamentare , e debba essere arrestato come un qualsiasi cittadino comune !!!!!!
    anche perchè chi vota contro l’arresto deve fare i conti con l’elettorato che deciderà come votare quando andrà alle urne !!!!!
    Otre tutto secondo me violerebbe un principio democratico che vede TUTTI i cittadini uguali di fronte alla legge!!!!

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