“I voti dei Casalesi al consigliere regionale” – Raffaele Cantone, su Il Mattino di Napoli, ed. naz. di mercoledì 16 novembre 2011

Tre notizie degli ultimi giorni, da leggersi in modo necessariamente unitario, meritano una breve riflessione.
Seguendo l’ordine temporale, quattro giorni fa la polizia di Caserta ha scoperto un vero e proprio arsenale a casa di un piccolo pregiudicato di San Cipriano d’Aversa, che le fonti investigative considerano vicino al latitante, da oltre 15 anni, Michele Zagaria.
Armi da guerra, in grado di essere utilizzate immediatamente e con una potenza di fuoco impressionante: capaci cioè di penetrare anche le lamiere super rinforzate delle auto blindate.
Quelle armi erano state nascoste in un’intercapedine di un muro solo pochi giorni prima, come rendeva evidente l’intonaco ancora fresco.
Due giorni fa l’esecuzione di un’ordinanza cautelare emessa dal Gip di Napoli su richiesta della locale DDA che ha colpito esponenti di primo piano del clan dei Casalesi (fra cui un figlio di Schiavone Francesco detto Sandokan), del clan Mallardo della zona nord di Napoli, e della mafia siciliana fra cui un familiare del noto capo della cupola Totò Riina.

Il provvedimento restrittivo, come riportato dalla stampa quasi soltanto napoletana, ricostruisce il meccanismo di controllo – grazie ad una vera e propria joint venture tra mafia e camorra – del sistema dei trasporti su gomma dei prodotti ortofrutticoli che, dalla Sicilia e da altre zone del Sud, vengono portati al più grosso mercato dell’Italia centro meridionale di Fondi, mercato, fra l’altro, su cui da anni sono forti gli allarmi degli inquirenti di infiltrazioni della criminalità mafiosa, ndranghetista e camorrista.
Ieri, infine, l’episodio più grave ed eclatante, l’esecuzione di un’altra ordinanza cautelare sempre del Gip napoletano, su richiesta della DDA, che ha portato in carcere alcuni imprenditori e soprattutto un consigliere regionale in carica (e clamorosa ironia della sorte, membro della commissione regionale anticamorra!), già sindaco fino al 2009 di uno dei comuni dell’agro aversano su cui è forte la penetrazione camorristica e cioè Villa Literno. Al politico, già esponente di peso del PD casertano, primo eletto nel suo collegio con tantissime preferenze, autosospesosi dal partito alcuni mesi fa quando emersero notizie di un suo coinvolgimento in indagini della DDA, sono contestati i delitti di concorso esterno in associazione mafiosa, voto di scambio aggravato dalle finalità mafiose e corruzione.
In uno dei capi di imputazione si può leggere (senza nulla aggiungere a commento!), che “il politico avrebbe assicurato al clan l’assegnazione di appalti e commesse ad imprese di gradimento del clan in cambio del predetto sostegno elettorale, di una parte della quota in denaro che la medesima impresa di volta in volta avrebbe assicurato al clan, nonchè di una relativa “pace” sul territorio relativamente alle richieste estorsive che comunemente il clan effettuava”.
Nel provvedimento cautelare – che è bene ricordare non rappresenta una sentenza di condanna, per cui il consigliere regionale potrà dimostrare la sua estraneità totale ai fatti – ci sono anche altri episodi, allo stato non oggetto di contestazione penale, ma a dir poco inquietanti. Riguardano il sindaco ancora in carica in uno dei comuni, pure simbolo del potere dei Casalesi, ed i suoi rapporti, sempre riferiti ad appalti e commesse, con esponenti di primo piano del potente sodalizio.
I tre fatti dimostrano in modo inconfutabile come la camorra resti forte sul piano militare (ha la disponibilità di armi micidiali), come continui a gestire attività economiche lucrose e fondamentali per la vita dei cittadini (riesce a monopolizzare il sistema di trasporto di prodotti alimentari) e come condizioni la vita delle amministrazioni locali, giungendo ad influenzarne l’attività, attraverso anche l’elezione di esponenti di vari colori politici, purchè disponibili ai loro desiderata.
Ed allora, si potrebbe dire, quale è la novità?
Nessuna, si dovrebbe, purtroppo, rispondere, aggiungendovi, però, una considerazione amara, mutuata da una durissima ed efficace intervista, apparsa su Il Mattino di qualche giorno, del procuratore aggiunto di Napoli Dda, Federico Cafiero de Raho; la lotta alla camorra è scomparsa dai temi di interesse nazionale, dandosi, da parte di qualcuno, per scontato troppo frettolosamente che i risultati investigativi ed i tanti arresti ne avessero minato la forza.
L’argomento è del tutto obnubilato e soppiantato dall’attenzione ormai a senso unico per la crisi economica, per lo spread e per il prezzo dei BTP decennali.

E si tratta di un errore strategico, perchè mai come in questi periodi di crisi e di trapasso politico le mafie sono capaci di incunearsi, di far sentire la propria voce e di cercare di “trattare” un proprio ruolo nel sistema che si andrà a creare. E non si tratat di preoccupazioni senza fondamento, visto quanto accaduto nel delicatissimo periodo 92-93!
Del resto sono loro, le mafie, ad avere enormi disponibilità economiche, utilissime per spregiudicate imprese in crisi, ad avere il controllo anche militare del territorio e la capacità di dirigere a destra o manca pacchetti di voti, forse fondamentali per spostare futuri equilibri e maggioranze. E si tratta di un errore clamoroso anche perchè le mafie – ed il sistema di illegalità che attorno ad esse fisiologicamente impera – rappresentano un ostacolo insormontabile per investimenti stranieri ed uno sviluppo economico vero e duraturo; finchè ci saranno loro su molti territori non solo meridionali, resterà l’arretratezza che favorisce quella parte dell’imprenditoria collusa e parassitaria e della politica disponibile ad accordi e scambi.

“Filtri sporchi. Partiti colpevoli”. Raffaele Cantone ne “Il commento”, su “Il Mattino” di Napoli, edizione nazionale di mercoledì 4 maggio 2011.

Dopo essere intervenuto già per due volte sulla vicenda dei rischi di infiltrazione nelle liste per elezioni comunali, è opportuno farlo ulteriormente dopo quanto si sta accertando a Napoli e quanto è avvenuto ieri a Quarto ed a Gioiosa Marina in provincia di Reggio Calabria.
Dopo le presenze inquietanti di candidati sottoposti ad indagini per gravi reati nelle liste di uno degli aspiranti sindaci al municipio di Napoli dalle indagini della magistratura è emerso come i gruppi camorristici di alcuni rioni popolari stessero organizzando la compravendita di pacchetti di voti da mettere a disposizione di candidati spregiudicati; proprio prendendo spunto da questa vicenda, il procuratore di Napoli, Lepore, molto opportunamente, ha richiamato l’attenzione preventiva dei partiti sui rischi di inquinamento del voto.

Dallo spulcio più approfondito delle liste sono poi venuti fuori casi di parentele con esponenti conclamati della camorra o con soggetti di recente inquisiti per gravi episodi di favoreggiamento ai boss.
Si è detto, giustamente, con riferimento a questi ultimi casi, che è un principio sacrosanto di civiltà giuridica che le colpe di genitori e parenti vengano considerate strettamente personali e che non possano ricadere su terzi.
Però, fermo ed indiscusso il diritto di elettorato passivo ed attivo di queste persone, non è certo preclusa una valutazione in termini di possibile inopportunità che non riguarda tanto chi si è candidato quanto piuttosto chi li ha accettati come compagni di avventura; alcuni cognomi in certi quartieri pesano ancora e forse sceglierli non è il miglior viatico per chi intenderebbe improntare la sua prossima attività amministrativa ai valori di legalità e trasparenza.
Ieri poi sono piombate sulla campagna elettorale due ordinanze cautelari in due contesti fra loro lontani; una riguarda il clan Polverino e le sue attività in Quarto, località che già passato era stato interessata da indagini giudiziarie che avevano sfiorato uomini delle locali istituzioni; questa volta sono stati arrestati due candidati per le elezioni prossime del consiglio comunale, in una lista con i colori del principale partito di governo.

In provincia di Reggio, invece, in un’indagine che riguarda il potente clan dei Mazzaferro sono stati tratti in arresto un sindaco e tre assessori comunali del comune di Gioiosa; nella conferenza stampa di illustrazione dell’operazione il Procuratore di Reggio, Pignatone, ha testualmente affermato che era stata, grazie alle intercettazione, ricostruita in diretta la massiccia infiltrazione mafiosa nel piccolo comune reggino.

Gli ultimi due episodi, ferma restando la presunzione di innocenza ed il diritto degli inquisiti di far valere le loro legittime ragioni per dimostrare la loro estraneità, ovviamente sono di ben maggiore gravità e rilevanza rispetto a quelli di cui più sopra si è fatto cenno ma possono ben essere letti tutti insieme e giustificare qualche considerazione preoccupata.

In primo luogo, essi dimostrano ulteriormente (se ce ne fosse ancora bisogno!) come le mafie siano interessatissime ad essere presenti con loro uomini negli enti locali.
Questi ultimi, per essere quelli che gestiscono la vita quotidiana e gli interessi anche più spiccioli dei cittadini, sono determinanti per consentire agli stessi sodalizi di accrescere l’indispensabile consenso su cui fondano la loro forza e per lucrare sulle attività economiche (appalti, commesse, società municipalizzate etc.) gestite da quegli stessi enti.
E gli uomini infiltrati negli enti locali non sono più antropologicamente mafiosi, ma spesso colletti bianchi o professionisti, del tutto disponibili ai voleri dei capibastone.
Ed è utile ribadire come questo interesse sia destinato a crescere quando agli enti di prossimità, con le imminenti riforme del federalismo fiscale, saranno attribuiti nuovi poteri, in particolar modo in materia di spesa pubblica.
L’altra considerazione è che i partiti, in particolare sul piano locale, malgrado lo sbandierato impegno preso solennemente prima di ogni consultazione elettorale, non appaiono in grado di fare da filtro reale per impedire candidature impresentabili.
Solo dopo che gli episodi emergono pubblicamente, grazie alla stampa o alle indagini della magistratura, i vari esponenti locali sono pronti o a giustificarsi adducendo di non sapere o a stracciarsi le vesti, prendendo (tardivamente) le distanze, sdegnosamente aggiungendo di non volere i voti di questo o quel candidato.
E su queste considerazioni – credo – debba essere centrata una riflessione della politica anche nazionale e del massimo organo che di questi temi si occupa, cioè la commissione parlamentare Antimafia.
Se i codici di autoregolamentazione non funzionano (o funzionano poco), se le norme sono capaci solo di impedire le candidature dei condannati, se ormai «i cavallucci» delle mafie si presentano spesso con certificati penali immacolati, bisogna evidentemente pensare ad altri rimedi.
È necessario trovare meccanismi efficienti ed efficaci, per arginare, prima delle indagini giudiziarie, presenze ingombranti.
Ma è anche necessario introdurre meccanismi di controllo, a setaccio molto stretto, perché comunque, anche dopo le elezioni, le mafie, manovrando i loro uomini, non si approprino dei municipi e di quello che questi enti rappresentano per tutta la collettività.

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L’immagine inserita è un’Opera dell’Artista Giuseppe Piscopo: “Urna cineraria”, del 2008.