“La mafia sfrutta la crisi e offre servizi al posto dello Stato”. Intervista a Raffaele Cantone su “La Stampa”, mercoledì 13 aprile 2011.

La mafia «non è anti-Stato», la mafia è un asset per usare lo stonato linguaggio degli affari, insomma «è un servizio». E sempre più raramente ricorre alle armi o alle minacce per raggiungere i suoi scopi. Ha relegato al cinema la fondina, ma «tiene nascosta la pistola sotto la scrivania».

C’è un momento, tuttavia, avverte Raffaele Cantone, il magistrato di tanti processi ai Casalesi, in cui questa nuova mafia dalla faccia pulita diventa pericolosissima. Durante le crisi e le recessioni, scandisce l’ex sostituto procuratore di Napoli, può emergere dal buio e insinuarsi nel sistema, «può fare il salto di qualità, impossessandosi di fette importanti dell’economia e della finanza». Alla fine del 2008, poco dopo il fallimento di Lehman Brothers, questo magistrato approdato oggi al Massimario della Cassazione aveva lanciato l’allarme sul Mattino .
Aveva definito la criminalità organizzata il convitato di pietra della crisi, capace in un momento di stretta del credito e di mercato azionario depresso di conquistare avamposti nella finanza e di fare shopping di aziende.
Grazie all’enorme liquidità e a una nuova leva di mafiosi «giovani, laureati e belli» che sanno muoversi negli ambienti ovattati di Piazza Affari. In un libro edito da Mondadori, Cantone li chiama i «Gattopardi».

«La criminalità organizzata – osserva – ha sempre svolto un ruolo anticiclico. Ha disponibilità di denaro nel momento in cui gli altri non ne hanno». Cantone ha un precedente ben preciso in testa: «Durante la Grande crisi del ‘29 le mafie svolsero un ruolo importante e riuscirono ad autoriciclarsi nel sistema economico perché avevano i soldi». Il rischio, oggi, è «analogo. E i capitali mafiosi potrebbero essere stati agevolati in questi anni anche dallo scudo fiscale». Dunque, «mi chiedo: cosa stanno facendo le istituzioni finanziarie di controllo per monitorare le iniezioni di denaro nel sistema economico? La Banca d’Italia, la Borsa, i sistemi di controllo finanziari che sono in mano all’Ufficio italiano cambi stanno sorvegliando i flussi di denaro?».

Poi c’è l’aspetto, altrettanto deprimente «della straordinaria capacità delle mafie di cambiare pelle, di adeguarsi alle novità e alle riforme». Un esempio? Il federalismo. «I clan non hanno tanto interesse a gestire i grandi enti pubblici: hanno bisogno invece di gestire gli enti di prossimità, quelli che gestiscono la vita dei cittadini. Tanto più in una logica di federalismo spinto. Che per loro è un’enorme opportunità».

Cantone ha indagato le infiltrazioni delle cosche a Nord e c’è un passaggio del libro inquietante in cui afferma senza mezzi termini che il broker dei rifiuti interpretato da Toni Servillo in Gomorra, sta ancora là. Nonostante il successo mondiale della denuncia, cioè del romanzo di Saviano e del film di Garrone. Così come stanno ancora là i Casalesi. «Sono in grande difficoltà dal punto di vista militare – sottolinea – ma il capo, Zagarìa, è ancora latitante. C’è stato certamente un enorme impegno per mettere in discussione gli aspetti militari, ma quello che mi chiedo è: gli interessi economici, il rapporto con la politica e il mondo delle istituzioni è stato messo in discussione?». Le recenti inchieste giornalistiche di Rosaria Capacchione sui rifiuti in Campania, aggiunge, «sembrano di nuovo il sintomo di uno scenario inquietante, in cui i clan stanno semplicemente cambiano pelle». Per il magistrato che ha lavorato molti anni nella Direzione distrettuale antimafia il mutamento non riguarda solo mafia, ‘ndrangheta e camorra, ma anche la loro percezione nella società. Se la pistola resta «un mezzo di convincimento alternativo rispetto a quelli normali», tutto sommato «sparare non conviene». Soprattutto se la soglia del pudore rispetto a fenomeni di connivenza o di cooperazione con la criminalità organizzata si è ormai «drammaticamente abbassata».
Il motivo è lapalissiano: la sfiducia nello Stato e il disprezzo per la legalità.

Il problema, è dunque «il consenso crescente attorno alle mafie» che stanno diventando un gigantesco buco nero che risucchia le risorse migliori del Paese. «Perché riescono a fornire servizi al sistema economico, istituzionale e politico; perché si pongono come alternativa a un sistema che spesso non funziona o funziona male». Perché, in sostanza, «risolvono i problemi». Le mafie sono sempre più il Mister Wolf per le vischiosità del sistema, per le sue inefficienze, le lentezze giudiziarie e burocratiche. E se sono antieconomiche per il Paese, come ha rilevato anche di recente Mario Draghi, perché spazzano via la competizione e il merito, sono sempre in meno a preoccuparsene.
O, men che meno, a vergognarsene.

(Raffaele Cantone a Tonia Mastrobuoni, per “La Stampa” di Torino, ed. nazionale, mercoledì 13 aprile 2011).