Gennaro Del Prete. La sua laurea dedicata al coraggioso papà, vittima innocente di camorra. Auguri, Gennaro. Federico, da lassù, è il padre più orgoglioso, tra le schiere degli angeli.

Giovedì 24 febbraio, Gennaro Del Prete discuterà la Tesi di Laurea “Sviluppo ed organizzazione della criminalità organizzata in Campania”.


Siamo più che certi che il suo papà gli sarà accanto e lo seguirà ancora, per tutta la vita, assicurandogli quella tenera carezza che ti invita a non mollare mai e che nei momenti di maggiore difficoltà riesce a rassicurarti ed a farti capire che non sei solo, mai.
AUGURI, GENNARO!!!
Pubblichiamo qui, le conclusioni della sua Tesi, ringraziandolo per questo preziosissimo dono.

<<La decisione di elaborare una tesi sulla camorra, un fenomeno storico cosi ben radicato sul territorio Campano e Nazionale fin dal 1500, capace di sconvolgere le economie, di violentare le nostre terre con soprusi, minacce, inquinando mari, fiumi, falde, capace di deviare e stravolgere anche la vita dei singoli cittadini come la mia, è nato dalla mia esperienza, dalla mia sofferenza, quale figlio di uomo che ha sfidato e rotto l’ordine poliziesco della camorra. Era mia dovere civico, mio dovere morale, mio amore di figlio, raccontare e descrivere di camorra, mio obiettivo fin dal primo giorno dell’università, era mio dovere approfondire e capire, gli uomini e la mentalità delinquenziale di chi ha assassinato mio padre. Ho deciso di partire dalle origini, capire la madre partoriente della camorra, per giungere ai giorni nostri, attraverso un percorso in cui ho cercato di cogliere l’humus di cui essa si è alimentata, ovvero, mercato, politica, omertà, violenza e il non fare a volte delle istituzioni.

Della camorra bisogna cominciare a parlare in termini che superino gli stereotipi imposti dalla pubblicistica giornalistica e dalla narrativa, anche se a essa, va riconosciuto il merito di aver portato all’attenzione dell’opinione pubblica la necessità di una riflessione articolata sull’intreccio di cause e condizioni che originano e alimentano un fenomeno di cosi rilevante estensione e gravità sociale.

L’uso di categorie interpretative semplificate, mutuate spesso dalla pratica giornalistica, non solo non è servito alla comprensione e alla chiarificazione di un fenomeno così complesso come quello della camorra, ma ha introdotto, nel dibattito e nella riflessione, elementi considerevoli di distorsione che rischiano, attraverso spostamenti di ottica e slittamenti d’attenzione, di far perdere l’oggetto vero d’analisi e di riconsegnare alla riflessione un fenomeno già di direzioni di lettura e schema d’interpretazione.
L’elemento di distorsione, forse più consistente è quello che tende ad accreditare la camorra come corpo estraneo rispetto all’organismo sociale nel quale essa alligna e prolifera. L’estensione del campo delle attività criminose, indica da sola, che ha poco senso insistere sulla tesi del corpo separato.
Anche a volersi limitare agli aspetti visibili del problema, è evidente che quando si parla di camorra, si fa riferimento a una serie di attività che, se pure disomogenee, sono tra loro strettamente collegate.
Il contrabbando di sigarette, il mercato della prostituzione, il commercio e lo spaccio di droga, le attività estorsive, il contrabbando di armi, il contrabbando di merce rubata, imprese edilizie abusive, imprese di trasposto abusive, imprese produttive abusive.
L’ultimo settore che contribuisce a dare all’attività della criminalità organizzata un peso anche politico, oltre che economico, è quello delle attività legali, finanziate con i proventi delle imprese criminose, che s’inseriscono in modo apparentemente legale sul mercato.
Le imprese più importanti sono quelle per la fornitura di servizi e quelle edilizie, perché s’inseriscono nel meccanismo degli appalti pubblici e finiscono con l’esercitarne il controllo a livello amministrativo e decisionale.
La mia tesi è che il fenomeno può essere meglio compreso solo a partire da una riflessione, ambientale, culturale, economica e politica.

La malavita organizzata di Napoli è caratterizzata principalmente da una strategia criminale prettamente economica. In più di un secolo di storia partenopea l’organizzazione e la struttura dei clan malavitosi è di poco cambiata, se non nella diversificazione degli affari criminali.
Se l’attività estorsiva e il controllo della prostituzione che ancora oggi costituiscono una fetta rilevante del bilancio della camorra, fruttavano potere e denaro già nell’Ottocento, i due grandi business del contrabbando di sigarette e del traffico di droga emergono solo nella seconda metà del novecento.
Oggi poi, le indagini della magistratura dimostrano come la camorra, seguendo il trend della globalizzazione, si sia spinta sempre più sui mercati internazionali, riciclando il denaro sporco in attività commerciali e imprenditoriali dalla Scozia alla Cina.
Ciò che invece non appare soggetto a cambiamenti rapidi ed efficaci nel corso dei decenni è il complessivo assetto geografico e familistico della camorra partenopea.
Tra le poche novità rilevanti dell’ultimo decennio emerge l’avanzata del clan guidato da Paolo Di Lauro, che inizia la sua carriera come uomo dei Nuvoletta alla fine degli anni ‘80 e poi si muove alla conquista delle piazze di spaccio di Secondigliano e Scampia, investendo nella creazione di un sistema del narcotraffico che riproduce i meccanismi di un’azienda multilevel.
Oggi una mappa dei clan partenopei che voglia essere comprensiva dei nuclei che mostrano un certo radicamento in determinati quartieri della città, conta almeno quaranta nomi diversi.
Se si contano anche le organizzazioni criminali presenti nelle altre quattro province Campane, però si arriva a una stima di circa cento clan.
Almeno venti dei gruppi presenti nell’area Napoletana possono essere considerati egemoni, cioè in posizione di supremazia militare ed economica, rispetto ai concorrenti che si muovono nelle loro zone d’influenza.
Gruppi come i Casalesi del Casertano e i Fabbrocino della zona vesuviana, mostrano una strategia imprenditoriale e una capacità di penetrazione nell’ambito degli appalti pubblici che li pone in una posizione di supremazia rispetto agli altri clan. La scena camorristica Campana conferma dunque, con il passare degli anni, il carattere che l’ha sempre distinta dalla Mafia: Il suo essere un’organizzazione orizzontale, del tutto priva di una strutturazione verticistica, piramidale.
Il tentativo più concreto di ricomporre i molteplici gruppi criminali sotto un’unica cupola fu compiuto dal boss della Nuova Camorra Organizzata Raffaele Cutolo, che negli anni Ottanta dal carcere di Poggioreale, tesseva la sua trama politico-criminale, e poi verso la fine degli anni Settanta, dalla Nuova Famiglia composta dai Casalesi, Nuvoletta, Alfieri, sorta d’intesa con Cosa Nostra, per contrastare Cutolo.
In vaste aree del territorio italiano insomma, la delinquenza organizzata condiziona lo sviluppo, affama i soggetti deboli, crea emarginazione, impedisce ogni forma di vita associativa e nega ai giovani la speranza del futuro.
Nel nostro territorio la pubblica amministrazione ha lasciato negli ambiti di questo sostrato di antistato il controllo dei pubblici appalti, dei rifiuti, delle cooperative sociali.
Il controllo dei flussi di capitali provenienti dal governo centrale per finanziare poi traffici molto più produttivi come quello delle armi, della droga, dell’usura e della prostituzione.
Il deficit del capitale sociale determina una frattura tra società civile e istituzioni, che spesso alimenta un humus favorevole al consenso sociale intorno alla delinquenza organizzata.
Il capitale del crimine ha prodotto un sistema economico e finanziario fortemente malato, in quanto ha completamente mortificato una sana e legale competitività.
Ma il reato più grave di cui la criminalità organizzata si è macchiata è la violenza fisica e psicologica con la quale ha determinato un vero e proprio pantano sociale.
Si è impedito a tanti cittadini, di coltivare quella coscienza civica necessaria, come strumento di contrasto forte e vincente, per uno sviluppo socio economico sostenibile.
Eppure in questa dura realtà sono anche in campo esperienze di resistenza civile e di cittadinanza attiva, anche se flebili, rivolte a far progredire una cultura della legalità che possa realizzare un vero e proprio argine sociale di contrasto e di lotta ai modelli finora vincenti della camorra.
Tra le diverse cose che accomunano le storie di coloro che hanno lottato contro le mafie e poi sono stati ammazzati, il fatto che spesso o quasi sempre l’agguato lo respiravano nell’aria. Era previsto insomma.
In tanti servitori della causa della giustizia è stata pronunciata l’espressione: Devo essere pronto. Con questa consapevolezza, probabilmente è apparso il sentimento della rimozione, la paura della morte e il dubbio della giusta causa.
Ci si sente smarriti per i sentimenti di fragilità che si avvertono nei confronti della stessa causa.
Lo smarrimento ti assale, quando vedi che la tua comunità, il tuo paese, va da tutt’altra parte.
Un paese che si distrae guardando altrove, anzi fissando lo sguardo verso il miraggio della ricchezza, del successo e del potere dell’apparire. Anche nella lotta contro le mafie può accadere lo scoraggiamento e soprattutto la tentazione che tutto sia inutile.
La sfida è assai ardua, ma è la sola che, accompagnata da un comune sentire e da un personale senso di responsabilità, possa restituire prospettive di futuro e di dignità ai giovani ed a intere popolazioni di terra di lavoro e di grandi aree del mezzogiorno.
È  pur vero che lo stato è malato, ma esiste una parte di stato che ancora non lo è, e quella parte di stato siamo noi cittadini, che attraverso il nostro agire e indipendentemente dai principi costituzionalmente sanciti, dobbiamo fare appello al tribunale della nostra coscienza, contrastando fortemente l’ideologia e il modus vivendi camorristico>>. 

Il nostro saluto affettuoso a Gennaro, con il pensiero al suo Papà: Federico Del Prete.