Il rischio c’è. E’ inutile girarci attorno. Alla mafia un appalto di 2 miliardi e 800 milioni fa gola. Anche le sue briciole, intendiamoci. Se ve ne fosse poi bisogno, per la prima volta nella storia del Piemonte, ben tre comuni in provincia di Torino sono in attesa del lavoro dei commissari che dovranno verificare se e che dimensione hanno i condizionamenti della ‘ndrangheta nelle amministrazioni comunali».
Prende fiato Raffaele Cantone, il pm di «Gomorra» (minacciato con Roberto Saviano e la giornalista Rosaria Capacchione dai capi dei Casalesi): «E, dunque, siamo in attesa della decisione del governo sul possibile scioglimento delle tre amministrazioni: Chivasso, Leinì e Rivarolo Canavese. C’era stato il precedente di Bardonecchia, è vero, ma mai tre comuni contemporaneamente».
Cantone, lo Stato deve accettare la sfida?
«La mafia c’è e si è infiltrata nella pubblica amministrazione anche in Piemonte. Prendere atto di questo non significa fermarsi: le opere pubbliche bisogna farle, lo Stato non può dichiarare la resa».
E’ davvero ineluttabile la presenza della mafia nei lavori della Tav?
«Non lo credo, non lo voglio credere. Possiamo evitarlo. Dico subito che oggi lo Stato è più attrezzato con strumenti e leggi. Semmai, e questa è una proposta che mi sento di fare, si potrebbe creare una task force di polizia giudiziaria che vigili sull’esecuzione delle opere della Tav».
Chiarisca la proposta. Chi dovrebbe far parte della task force e per fare cosa?
«Oggi il problema principale è soprattutto quello della verifica di chi materialmente esegue i lavori. Oggi le mafie controllano le imprese pulite. L’inghippo si realizza nella fattura materiale delle varie fasi del lavoro nei cantieri. Chi materialmente mette a disposizione i mezzi per la movimentazione terra, per esempio?».
Come accertiamo la correttezza delle procedure e la genuinità della partecipazione delle imprese pulite ai lavori?
«Intanto, investigatori della Finanza, della Dia, la divisione investigativa antimafia, e magistrati della Procura nazionale antimafia dovrebbero procedere a verifiche non formali, a veri e propri blitz nei cantieri. Da questo punto di vista il passato ci è di conforto».
In che senso?
«Dai lavori della Tav in Campania al raddoppio della Salerno-Reggio Calabria – che è stato definito il “più lungo corpo di reato” -, abbiamo la certezza che la camorra o la ‘ndrangheta non sono intervenute nei meccanismi formali dei lavori ma nella fase esecutiva. Ricordavo prima del noleggio dei mezzi per la movimentazione terra o per il trasporto di macchinari o, aggiungo, alle forniture di ferro e cemento. Il nostro problema non è solo quello di controllare le “carte”, i contratti, le visure catastali, ma chi materialmente porta a termine i lavori».
Senta giudice, l’esperienza ci porta a diffidare ormai dello strumento della certificazione antimafia come l’antidoto antiinfiltrazione.
«E’ vero, la procedura per il rilascio del certificato così com‘è presenta una falla. Non è più sufficiente concentrarsi sulle figure che fanno parte degli organismi amministrativi delle imprese. Non è sufficiente l’amministratore delegato o il cda stesso. L’indagine deve essere più pervasiva e giungere ad individuare e analizzare i reali proprietari, titolari delle imprese».
Lo scrittore Roberto Saviano afferma che il Paese non è in grado di garantire che la Tav non diventi la più grande miniera per le mafie….
«Giusta la sua preoccupazione sul rischio di inquinamento mafioso. Ma possiamo rinunciare a un’opera solo perché c’è un rischio? Rinunciare sarebbe una sconfitta che lo Stato non può accettare».
Prima parlava di leggi e strumenti che oggi ci consentono maggiori controlli…
«Questi poteri di controllo ci sono. E consentono di verificare in astratto la regolarità dell’opera. A metà degli anni ‘90, l’inchiesta della Procura di Napoli sugli appalti della Tav, accertò la presenza asfissiante di Gomorra. Pasquale Zagaria poteva contare sui rapporti con il mondo istituzionale e politico di tutti gli schieramenti. Ecco, il problema è anche questo».