“Far guadagnare le imprese con la legalità” – Raffaele Cantone ne L’analisi, su Il Mattino di Napoli, ed. naz. di mercoledì 29 febbraio 2012

In sede di esame del decreto legge sulle liberalizzazioni, in commissione industria del Senato, è passato un emendamento che, secondo le dichiarazioni della senatrice Vicari, introdurrebbe “l’elaborazione da parte dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, in raccordo con i ministeri della Giustizia e dell’Interno, di un parametro che misurerà il livello di legalità delle imprese”.
Tradotta la formula apparentemente incomprensibile nel linguaggio corrente, significa che, una volta che la norma sarà approvata nei passaggi parlamentari successivi, verrà introdotto il cosiddetto rating della legalità. Diventerà, quindi, legge la proposta da tempo avanzata da Confindustria soprattutto siciliana; le imprese, cioè, oltre a essere valutate per il fatturato, la capacità dei manager e, ovviamente, per la loro solvibilità, riceveranno una specie di pagella relativa al rispetto della legalità.
Allo stato, pur nell’estrema genericità del parametro di riferimento (la legalità è un concetto tanto ampio e, per dirla con don Luigi Ciotti di Libera, anche troppo spesso “abusato”), è già possibile avanzare qualche prima valutazione.
L’idea dei proponenti l’emendamento è quella di consentire di valutare i comportamenti tenuti dall’impresa nei confronti della criminalità organizzata, riconoscendo un rating particolarmente favorevole a quelle che non solo non risultano in nessun modo in collegamento con ambienti mafiosi, ma che abbiano dimostrato con fatti concreti di volersi opporre ad essa.
Diventerà, quindi, un “merito” imprenditoriale denunciare richieste estorsive, dirette (e cioè il versamento del cosiddetto “pizzo”) o indirette (ad esempio, di assunzione di personale, di acquisto di materiali da fiduciari dei clan, di concedere subappalti o noli etc.).

La valutazione favorevole in termini di legalità dovrebbe avere conseguenze significative sul piano concreto; renderebbe, infatti, più facile l’accesso al credito e ad agevolazioni pubbliche e consentirebbe di essere inseriti in una sorta di “lista dei buoni” (la cosiddetta “white list” da contrapporre alla “black list”) cui potrebbero attingere investitori internazionali o grandi ditte nazionali o estere interessate per affidamenti di lavori, appalti e/o incarichi.
La novità legislativa, così come prospettata, è sicuramente intelligente ed innovativa e su di essa va dato un giudizio ampiamente positivo.
La forza delle mafie, come è ormai noto a tutti, sta soprattutto nella loro smisurata disponibilità economica e nella conseguente loro capacità di coinvolgere pezzi del mondo imprenditoriale e professionale.
Rispetto a tale forza di traino, il richiamo a valori meramente morali o persino al rischio di un coinvolgimento in indagini penali non sono, purtroppo, controspinte da sole sufficienti; c’è bisogno di una sorta di rivoluzione copernicana, riassunta in uno slogan caro a molti esponenti dell’antimafia sociale e cioè “rendere conveniente la legalità”. E premiare sul piano imprenditoriale chi si comporta bene, e lo dimostra con i fatti concreti, risponde a questo obiettivo!
Il nuovo istituto per funzionare, però, richiederà una serie di indispensabili condizioni.
La prima, di esse riguarda i parametri di valutazione del rating; essi dovranno essere particolarmente approfonditi (lo screening non potrà limitarsi, a d esempio, solo a coloro che rivestono le cariche sociali, ma dovrà riferirsi a titolari effettivi delle imprese), ma anche oggettivi, per evitare il rischio che criteri troppo discrezionali ed elastici consentano di dispensare valutazioni positive (anche) agli “amici”, piuttosto che ai (soli) meritevoli.
E, inoltre, il “rating” non deve tradursi in un ulteriore appesantimento per le imprese, dovendosi necessariamente raccordare, per evitare inutili duplicazioni, anche con altri “indicatori” della legalità delle attività economiche. Mi riferisco, in particolare, al rilascio della certificazione antimafia, strumento indispensabile per il contrasto della delinquenza organizzata ma spesso una vera croce per gli imprenditori a causa dei tempi lunghissimi degli accertamenti e dell’eccesso di burocrazia che la contraddistingue.

Bisognerà, quindi, capire il modo in cui il principio sarà effettivamente declinato per esprimere un giudizio definitivo; solo in quell’occasione sarà possibile davvero capire se l’ottima idea si sia stata tradotta in un altrettanto valida applicazione o se, invece, – come scaramanticamente incrociando le dita non ci auguriamo – nel semplice (ennesimo) slogan pubblicitario, senza effetti benefici nel contrasto alle mafie.

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