“Regolarizzare è un delitto” – Raffaele Cantone, su Il Mattino di Napoli, ed. naz. di domenica 11 agosto 2013

La proposta di regolarizzazione delle occupazioni abusive degli alloggi popolari, avanzata alcuni giorni orsono da un assessore comunale di Napoli (e per il momento accantonata), ha riaperto un dibattito su una questione particolarmente calda in città.
Il tema sembra poi essersi arricchito di nuovi spunti di riflessione, dopo che Il Mattino, con documentati servizi, ha dimostrato come in non pochi casi di occupazioni abusive vi sia stato un intervento diretto dei gruppi camorristici.
Si tratta, invero, di un fatto notorio già emerso nei quartieri in cui insistono alloggi popolari. I clan, infatti, hanno una pluralità di “ragioni” per occuparsi del fenomeno.
Il boss del quartiere ha, in primo luogo, interesse a scegliersi i “vicini” fra i soggetti a lui non ostili; attraverso, poi, la gestione di fatto delle case aumenta il suo prestigio e potere nel quartiere, ottenendo gratitudine e disponibilità di coloro a cui le abitazioni sono “concesse”. Sono poi gli stessi camorristi che finiscono per proteggere gli occupanti abusivi anche contro le legittime aspirazioni degli assegnatari legittimi; essi sono, infatti, in grado di utilizzare argomenti decisamente convincenti per scoraggiare chi volesse far valere i propri diritti.
Basterebbe questa acclarata e massiccia infiltrazione criminale fra gli occupanti abusivi a chiudere ogni discussione e a giustificare una posizione di nettissima contrarietà ad ogni forma di sanatoria; essa finirebbe, suo malgrado, per recepire le “graduatorie” della camorra, non essendo possibile, con tutte le accortezze tecniche immaginabili, sterilizzare un rischio così grave.
Ma seppure volessimo prescindere dal “fattore C” – anche per evitare che la camorra diventi un alibi per opporsi ai cambiamenti – la regolarizzazione comunque sarebbe un errore da stigmatizzare.
Essa finirebbe per essere – e lo dico senza timore di esagerare – grave quanto (o persino peggiore de) i condoni edilizi e fiscali.
La sanatoria in questione consentirebbe, infatti, come i condoni, di legalizzare ciò che è stato acquisito (o costruito o evaso etc) in modo irregolare, spesso attraverso atti di prepotenza che, non si dimentichi, costituiscono anche reato; con un danno di carattere generale soprattutto per i cittadini onesti che vedono premiati coloro che non hanno rispettato le regole e con il rischio di incentivare nuove violazioni, nella prospettiva di possibili ulteriori regolarizzazioni.

ph. da Repubblica

ph. da Repubblica

A questi effetti negativi, tipici di ogni forma di sanatoria, nel caso di specie se ne aggiunge un altro specifico; l’espropriazione dei diritti dei veri assegnatari degli immobili da altri occupati.
Legittimare le occupazioni abusive sarebbe, infine, un danno molto grave per l’immagine di una città che fatica a liberarsi dallo stereotipo di capitale dell’illegalità e non sarebbe coerente con quanto l’amministrazione dichiara di continuo in tema di rispetto della legalità.
C’è sicuramente – e sarebbe da ciechi negarlo – nella proposta di delibera comunale un obiettivo meritorio; fra gli occupanti abusivi ci sono persone che hanno situazioni di gravissima necessità e che hanno violato le regole perché costretti da indigenza e difficoltà abitative insuperabili. Sono soggetti oggettivamente deboli che vanno in qualche modo aiutati. Del resto, persino la Cassazione penale considera posizioni di disagio grave ed accertato come scriminanti del delitto di occupazione abusiva!
Queste situazioni – da accertarsi con uno screening molto rigoroso – non potranno certo consentire di mantenere ciò che è stato acquisito, comunque, in modo oggettivamente illegale. Dopo il ripristino della legalità – che significa consentire ai legittimi assegnatari di poter avere la casa di cui hanno titolo! – si potrà garantire a queste famiglie bisognose di non essere escluse dalle future assegnazioni, come il loro gesto irregolare imporrebbe, e di avere anche una qualche priorità.
L’unico faro da seguire, quindi, non può che essere l’assoluto e rigoroso rispetto delle regole; le deroghe e gli stravolgimenti di esse, per quanto possano apparire giustificate anche da nobili ragioni, rischiano di aprire varchi (se non autostrade) ad ogni genere di future illegalità; di buone intenzioni – è noto, del resto – è lastricata la strada per l’inferno.

“Patto per Napoli sicura, la svolta delle Ministre” – Raffaele Cantone, in Riflessioni, su Il Mattino di Napoli, giovedì 4 ottobre 2012

Ieri a Napoli, nella sede della Prefettura, si è tenuto un comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica, con il Ministro dell’Interno, Cancellieri, e della Giustizia, Severino, per discutere della recrudescenza criminale a Scampìa e in generale dell’emergenza criminalità a Napoli. 
Da più parti, e in prima fila da questo giornale, si era sollecitata la venuta in città dei vertici dei due più importanti dicasteri del governo, per una sorta di assunzione non solo formale di responsabilità; l’averlo fatto, è, quindi, un atto di sensibilità istituzionale che va rimarcato anche per il suo significato squisitamente simbolico.
Nella sede della prefettura il vertice si è chiuso con la sigla di un atto – definito in modo forse un pò retorico “Patto per Napoli sicura” – che ha visto coinvolti oltre che i rappresentanti governativi anche quelli locali, e cioè il presidente della Regione, Caldoro, della Provincia, Cesaro e il sindaco della città, De Magistris.

foto ANSA

Il patto si muove su più direttrici; avrà durata triennale e sarà monitorato da una cabina di regia istituita presso la Prefettura. Ovviamente, il primo punto è quello che riguarda il piano repressivo; l’opzione è di confermare quanto si era già deciso a livello provinciale nei giorni scorsi; non inviare, cioè, l’esercito ma rafforzare la presenza numerica delle forze dell’ordine; in tal modo si cerca di aumentare il controllo del territorio per evitare nuovi fatti di sangue ma allo stesso tempo utilizzare forze capaci di sviluppare le investigazioni giudiziarie. E’ una scelta che, se porta un cospicuo aumento delle forze in campo, pare decisamente condivisibile, anche perchè evita quella militarizzazione del territorio che finisce per creare problemi anche ai cittadini perbene.
Una seconda direttrice riguarda, invece, misure di natura più squisitamente preventiva, indicate come di riqualificazione del tessuto urbano e promozione della cultura della legalità. In questo senso, il Comune di Napoli provvederà a realizzare “progetti di riqualificazione delle aree degradate che favoriscono l’insorgere di fenomeni criminosi”, la Regione, invece, provvederà a sostenere “iniziative finalizzate a migliorare la sicurezza dei cittadini, la vivibilità delle aree degradate e a promuovere lo sviluppo della cultura della legalità, anche attraverso il Centro di documentazione anticamorra”.
Tutti i firmatari del patto si impegnano inoltre ad affiancare l’attività delle forze di polizia nell’azione di prevenzione e contrasto dello spaccio di stupefacenti e a potenziare l’azione di sensibilizzazione e vigilanza sulle diverse forme di dipendenza, nonchè sul cosiddetto bullismo, e a favorire la realizzazione di interventi di riqualificazione delle aree rese libere da insediamenti di popolazioni nomadi e a promuovere eventi e manifestazioni istituzionali nei quartieri maggiormente esposti a rischio criminalità. E’ certamente la parte più ambiziosa dell’accordo, quella che può (o meglio potrebbe) rappresentare la vera novità positiva; è evidente che certi fenomeni criminali sono (anche) figli del degrado urbano di periferie sempre più abbandonate a se stesse, nelle quali molto spesso le uniche istituzioni che funzionano sono le associazioni di volontariato e qualche parrocchia di frontiera.
E’ in quel brodo di coltura che la criminalità cresce e fa proseliti e fino a quando esso non si prosciugherà, la sola repressione giudiziaria rischierà di apparire il classico tentativo di svuotare il mare con un cucchiaino.
Il vero punto, però, che resta meno chiaro, è come questi interventi auspicati e agognati dai cittadini napoletani ma allo stesso modo da sempre promessi dalle istituzioni prenderanno forma e soprattutto con quali risorse effettive esse dovranno tradursi in fatti.
Di soldi si è parlato poco – è previsto solo un impegno della Prefettura per utilizzare i soldi del Pon sicurezza 2007/2013 – e questo rende tutto molto più aleatorio, soprattutto se si tiene conto delle difficoltà finanziarie croniche degli enti locali.

Certo, queste due signore che siedono ai ministeri hanno dimostrato di voler lasciare traccia del loro operato, la Cancellieri finalmente sciogliendo i comuni inquinati dalle mafie senza guardare in faccia a nessuno, la Severino portando a casa un taglio storico dei tribunali minori. Se dovessero riuscire davvero quantomeno a favorire l’avvio di quell’opera di bonifica sociale promessa, la giornata di ieri dovrebbe essere ricordata come fausta per sempre, persino festeggiata alla pari di quella dedicata al Santo patrono.

“Concorso esterno, l’equilibrio possibile” – Raffaele Cantone, in Riflessioni, su Il Mattino di Napoli, ed. naz. di martedì 13 marzo 2012

La sentenza della Cassazione sull’on. Dell’Utri e soprattutto alcune frasi estrepolate (“al concorso in associazione mafiosa ormai non ci si crede più”) dalla lunga ed articolata requisitoria del sostituto procuratore generale Francesco Iacoviello hanno scatenato polemiche e riaperto il dibattito sul “concorso esterno” in associazione mafiosa.
Ma cos’è davvero questa entità (“concorso esterno”), di cui si discute da anni e che per molti critici (non sempre disinteressati) sarebbe impalpabile o persino inesistente?
Sul punto squisitamente tecnico è il reato che si forma mettendo insieme la norma sul concorso di persone nel reato (art. 110 c.p.) con quella sull’associaizone mafiosa (art. 416 bis c.p.); con tale combinazione diventano punibili soggetti che non sono parte integrante di un’associazione mafiosa, e , quindi, persone diverse da quelle indicate espressamente dall’art. 416 bis c.p. (detti convenzionalmente “concorrenti interni” o “intranei”) e cioè gli associati, i capi, i promotori e i dirigenti dell’organizzazione.
La norma sul concorso di persone consente, infatti, di punire anche chi non pone direttamente in essere l’azione delittuosa; per esemplificare: se tizio istiga una persona a commettere un omicidio ed il soggetto da lui convinto lo pone in essere, solo quest’ultimo commette il reato, ma l’istigatore ne risponderà come concorrente, e con la stessa pena, grazie proprio all’art. 110 c.p.
Se è abbastanza semplice (ma non lo è, purtroppo, nemmeno sempre) costruire il concorso rispetto ad un delitto come l’omicidio, che ha una materialità evidente, lo è molto meno quando si tratta di individuarlo rispetto ad un reato associativo, in cui ciò che si punisce non è un’azione, ma un’organizzazione delinquenziale.
Per comprendere la complessità del problema giuridico e le enormi discussioni che ruotano intorno ad esso, basta ricordare come dal 1993 al 2005 (un tempo relativamente breve per la giurisprudenza) sono intervenute per ben 4 volte le Sezioni Unite della Cassazione e cioè il massimo organo della giustizia italiana, quello chiamato a dirimere i contrasti insorti nella giurisprudenza.
Le Sezioni Unite predette, con l’ultima sentenza del 2005, pronunciata in un giudizio in cui imputato era l’ex ministro DC, Calogero Mannino, hanno delineato i tratti del cd concorrente esterno; si tratta di colui che, pur non essendo parte dell’organizzazione mafiosa, fornisca un contributo concreto, specifico, consapevole e volontario, a carattere indifferentemente occasionale o continuativo, che abbia come effetto quello di conservare o rafforzare l’associazione criminale.
Traducendo il “giuridichese” in linguaggio comprensibile, diventano, quindi, punibili quei soggetti che non fanno parte integrante della mafia, ma che forniscono dall’esterno un aiuto spesso vitale per le organizzazioni medesime; esempi concreti, tratti dall’esperienza giudiziaria, di soggetti di tal tipo sono l’uomo delle istituzioni che aiuti i vertici di un clan ad evitare le condanne giudiziarie o ad ottenere appalti o lavori pubblici; il professionista o l’appartenente alle forze dell’ordine che porti agli adepti i messaggi del boss detenuto in 41 bis.

Reprimere comportamenti come questi è indispensabile ed irrinunciabile; i concorrenti esterni, i cd colletti bianchi, rappresentano un punto di forza delle organizzazioni malavitose, essendo il trait d’union con la società civile e con il mondo dell’impresa e nelle istituzioni. Una lotta alla mafia che facesse a meno di occuparsi di questo aspetto sarebbe decisamente inefficace!
Nella pratica, però, capita spesso che ciò che emerge nei confronti dell'”estraneo” non sia un singolo, evidente, specifico contributo agevolatore, come quelli sopra indicati, ma una somma di più comportamenti, di vicinanza e connivenza con le organizzazioni o con singoli suoi esponenti, che presi singolarmente possano essere non rilevanti, ma che complessivamente valutati possano cambiare di significato e trasformarsi in un concreto ausilio per il sodalizio.
E’ in ipotesi come queste che appare meno palpabile il comportamento effettivamente incriminato, rischiandosi di scivolare verso un’eccessiva indeterminatezza.
Proprio per evitare che ciò accada e si propone da tempo (ed oggi si rilancia l’idea) di introdurre una norma che tipizzi gli atti rilevanti dell’estraneo, stebilendo espressamente quali comportamenti di contiguità siano meritevoli di sanzione penale.
E’ una posizione che tende ad una maggiore certezza del diritto, su cui in astratto si può convenire e ragionare, senza scontri e pregiudizi ideologici, a condizione però, che, anche attraverso il coinvolgimento degli studiosi e degli addetti ai lavori, si riesca a trovare il giusto punto di equilibrio sull’individuazione di quali comportamenti oggettivamente fvoriscano la mafia; la futura norma scritta, infatti, non dovrà rappresentare, in nome di un presunto passo in avanti nella tutela delle garanzie dei cittadini, un enorme passo indietro nel contrasto alle mafie.

Perchè “Contro le Mafie”.

Benvenuti tutti!!
“Contro le Mafie”, è un movimento di giovani che si riconoscono negli stessi ideali ed hanno deciso di schierarsi, dire NO, uscire dal silenzio, contro la camorra del malaffare, della violenza spietata, delle connivenze che dimora nella propria terra.
“Contro le Mafie” è nato a Giugliano in Campania, in provincia di Napoli.
Non più il paese della “mela annurca”, ma oggi tristemente reso celebre dalle cronache della resistenza dei cittadini all’apertura indiscriminata di discariche improvvisate ed a cielo aperto in posti che si era promesso ed ordinato restassero chiusi e fossero destinati alla bonifica.
Un paese dove la camorra si respira forte nell’aria.
Come si respira forte il vento forte e dolcissimo dell’anticamorra.
Il 23 ottobre 2010, la Giugliano dei giovani, dei ragazzi di quegli uomini e quelle donne che fino a quel momento guardava tutto “dietro le finestre”, è scesa in piazza. Per incontrarsi e per gridare forte il proprio dissenso alla realtà criminale che la circonda. Non per un caso, è scesa in piazza la Giugliano dei giovani.
Per un Uomo. Un giovane e grandissimo Uomo: Raffaele Cantone, Magistrato da sempre impegnato in prima linea nella lotta alla camorra.
Sotto scorta: è così che vive Raffaele, insieme alla sua famiglia. Privato di quella libertà e quella privacy a cui tutti aspiriamo e di cui tutti abbiamo diritto.
Perchè, vi chiederete. Perchè un Uomo che lavora onestamente e fa dell’impegno antimafia il suo vangelo, dev’essere costretto ad una vita blindata? Di fronte ad un oceano di possibilità, questo ragazzo giuglianese, che ha respirato la stessa aria che si respira oggi: fatta di violenza, complicità e connivenze, ha scelto di studiare Legge e vivere e lavorare con grandissima passione e senso del dovere.
E’ assurdo, ma per questo motivo non ha più libertà. Quella libertà che ti consente di uscire a guardare le vetrine del centro, illuminate a festa perchè “è Natale”, insieme ai tuoi cari; quella libertà che ti permette di prendere un treno della metropolitana, solo; che ti consente di andartene a guardare il mare, solo, per perderti nei tuoi pensieri…
Minacciato, più volte, da quello stesso clan che oggi vede la propria struttura minata, in seguito all’arresto del “ninno” Iovine. Se si è giunti a questa “cattura”, è grazie al Dott. Cantone. E’ lui che per primo si è occupato delle indagini relative al clan dei casalesi. E’ grazie al suo lavoro ed alla sua grandissima abnegazione che si è giunti alle condanne definitive, per i boss. Un ringraziamento che estendiamo alle Forze dell’Ordine ed a tutti quei Magistrati che hanno continuato le indagini e le inchieste del Dott. Cantone.

Raffaele Cantone, per aver lavorato intensamente e con grande dedizione ed onestà vive da oltre dieci anni “accompagnato”, nei suoi spostamenti, da angeli in divisa, che vigilano costantemente sulla sua incolumità e quella della sua famiglia.

“Contro le Mafie” o per meglio dire, il “Movimento 23 ottobre contro le mafie”, ha scelto di essere scorta civica permanente del Dott. Cantone.

Ne segue e ne seguirà le iniziative e gli interventi. Affinchè tutti sappiano e conoscano quest’Uomo così grande e così semplice, che lotta la camorra con i fatti e con la parola, ogni giorno.
E’ a lui che dedichiamo questo blog.

Raffaele Cantone non è solo e non lo sarà mai.

E sappiamo che voi tutti sarete con Lui e con noi.  Perchè “è solo insieme, che si può cambiare”!!!
Vi invitiamo quindi ad interagire con noi, ad inviarci i vostri commenti e le vostre idee.

Grazie a tutti, di cuore.