“I costi dell’economia criminale”. Intervento di Raffaele Cantone, per l’iniziativa nazionale CGIL “Legalità economica: dal territorio all’impresa, un’altra idea di sviluppo”. Roma, 14 luglio 2011.

Credo che quel che possa fare il sindacato, i corpi intermedi, è molto più di quanto possano fare cento indagini dell’autorità giudiziaria, o delle forze di polizia a cui va il nostro ringraziamento quotidiano, ma è insufficiente.

Questo ruolo del sindacato che finalmente riscatta – me lo consenta il segretario Camusso – anche comportamenti soprattutto negli anni ’80 che paradossalmente finivano (involontariamente), per favorire la mafia.

Quante volte abbiamo visto in Sicilia negli anni ’80, all’inizio degli anni ’90, manifestazioni per il lavoro che venivano a contrastare per esempio i sequestri, le indagini, che venivano effettuate nei confronti dell’impresa? Perchè vi era un’idea diversa; un’idea oggi per fortuna superata: che il lavoro andasse tutelato in quanto tale e non che andasse tutelato il lavoro prodotto dell’impresa “pulita”. Questa “rivoluzione copernicana”, rappresenta una grandissima speranza per il futuro, pure perchè sono convinto – e lo dirò con le mie brevissime parole, che seguono lo stimolo che è stato dato dall’intervento precedente (molto bello, che ha spaziato su tutti i temi) – che se come dice questo documento, che spero sia diffuso il più possibile, “la Legalità rappresenta la condizione imprescindibile, per garantire al Paese tenuta democratica, convivenza civile e sviluppo economico”; se traduciamo in comportamenti concreti, questa affermazione di carattere generale, le speranze di un futuro “meno grigio” ci sono tutte.
E andiamo al tema della borghesia mafiosa; io credo che negli ultimi anni (e ovviamente non lo credo io, ma dagli esiti delle indagini giudiziarie), la mafia ha completamente cambiato pelle; la mafia ha cambiato il volto, quello di una volta; ha abbandonato la tradizionale mìse di “coppola e lupara”; si è sempre più trasformata (cominciando dalla Sicilia, dal dopo stragi), in una realtà che si occupava soprattutto di attività economiche; una realtà che sparava meno, che era molto meno “visibile”, soprattutto nei confronti delle forze dell’ordine e soprattutto una realtà che metteva al centro, lo svolgimento dell’attività imprenditoriale.
Credo che su un punto, bisogna essere “chiari”: è cambiato in modo nettissimo, il rapporto tra mafia e impresa; in passato, la semplificazione, che era comoda, manichea, delle imprese “buone” che erano vessate dalla mafia, e dei mafiosi “cattivi”, che chiedono il pizzo, era l’approccio più semplice, più “banale”: quello che consentiva di individuare nell’estorsore, nel soggetto che andava a raccogliere il denaro il “cattivo” della situazione. Il meccanismo è completamente cambiato; le mafie hanno rapporti di interrelazione con l’impresa che fanno sì che spesso sono le imprese a cercare i mafiosi; sono le imprese, ad usare i servizi dei mafiosi e sono felice di aver letto con forza, queste indicazioni che sono contenute nel documento della CGIL di cui si discute, indicazioni coraggiose, che ha raccolto sul nuovo rapporto mafia-impresa; oggi non è assurdo parlare di “mafia service”, di una mafia che è in grado di trovare soluzioni a 360 gradi, vere e proprie soluzioni “chiavi in mano”, agli imprenditori che vengono ad investire al sud e non solo al sud; riescono a garantire denaro semplice; pace sindacale nei cantieri; quote di penetrazione nei mercati, perchè la mafia non è più solo edilizia, ma soprattutto terziario, distribuzione; riescono a garantire che nei cantieri non verranno fatti furti, danneggiamenti e riescono a garantire meccanismi di introduzione nel sistema istituzionale, che consentono di superare le barriere; questa mafia ha completamente cambiato abito, è una mafia che si è imborghesita ed è in grado di essere rappresentata da nuovi volti.

Si citava l’episodio ultimo, avvenuto a Napoli (che ricorderò molto brevemente), perchè quell’episodio è la dimostrazione di una mafia completamente diversa; questo rappresentante imprenditoriale, titolare di una catena di ristoranti,  che frequenta gli ambienti della Napoli “che conta” (quando è stato arrestato era a Miami, con un campione del mondo del calcio, in vacanza), riesce ad interloquire con tutti i settori, ma dalle intercettazioni si comprende che è il principale investitore del denaro di un certo gruppo mafioso e la caratteristica – che è anche la novità, di questa indagine – è che si tratta di un investimento, sul piano della remuneratività, caratterizzato da un bassissimo vantaggio; la camorra investe grossissime cifre ottenendo un vantaggio non più del 4% annuo, che è una cifra assolutamente ridicola, sul piano della remuneratività, ma perchè le mafie hanno capito, che esistono settori, come ad esempio quello della ristorazione, dei servizi, nei quali  è assolutamente facile fare grossi guadagni con pochissimi rischi, soprattutto utilizzando questi “uomini cerniera” (dei quali noto con grande piacere si parli nella relazione), capaci di legare mondi diversi; soggetti capaci di interloquire con campioni del mondo del calcio, con esponenti delle Istituzioni ritenuti integerrimi ed esponenti della lotta alla mafia, soggetti che utilizzano la parola “Legalità” ogni giorno – mi sia consentito, Don Ciotti, di utilizzare quel che Lei afferma, cioè che non c’è parola più violentata e male utilizzata della parola Legalità  – e quanti di questi personaggi abusano di questa parola, pur essendo “uomini-cerniera”, tra ambienti diversi.

Questa borghesia mafiosa, nel breve periodo non fa danni all’economia, anzi, appare come un fattore di moltiplicazione dell’economia; un vero e proprio moltiplicatore del sistema delle relazioni economiche, e soprattutto in certi contesti; ovviamente, nel lungo periodo cambia tutto: le mafie operano con la logica della trimestrale di cassa; i mafiosi sanno che non hanno futuro e lavorano nell’ottica del guadagno immediato; anche se volessimo essere cinici e dire che gli investimenti mafiosi portano ricchezza, dovremmo sconfessarci, per la semplice ragione che i mafiosi non guardano al futuro, per i mafiosi c’è “tutto e subito” ed è un sistema che alla lunga, rischia di essere dannosissimo per le relazioni sociali, economiche e politico-istituzionali e rispetto al quale la reazione delle forze dell’ordine e della magistratura avviene quando il reato è commesso, con i tempi della giustizia italiana (che sono notoriamente lunghi); con la capacità di intervenire su fatti già avvenuti; con la difficoltà di dover individuare spesso, ipotesi di reato in questi comportamenti il cui colore è grigio, non è nè nero nè bianco e qui possono svolgere un ruolo fondamentale, i “corpi intermedi”: attraverso, a d esmpio, il meccanismo di stigmatizzazione delle mafie, la valutazione sociale in termini negativi, nei confronti di chi svolge questa attività; ma anche la richiesta forte di regole preventive: esiste la necessità assoluta di intervenire prima, attraverso quelle strutture sociali intermedie che possono fare  tantissimo.
Ho molto apprezzato, nell’intervento che mi ha preceduto, il riferimento agli ordini professionali; ma quanti architetti, avvocati, medici, ingegneri, condannati per mafia o che hanno avuto rapporti incestuosi con la mafia o che hanno fatto parte di cricche, continuano a stare al loro posto, a volte anche con cariche rilavanti, all’interno di quegli ordini professionali e quanto invece molto più fare anche un meccanismo di stigmatizzazione professionale, come quello messo in campo, ad esempio, da Confindustria Sicilia, che è un grande risultato perchè è il segnale della volontà di cambiare!

Allora, la borghesia mafiosa può essere vinta certamente con la repressione, ma può essere vinta con comportamenti che abbiano soprattutto un carattere: quello della coerenza.
Siamo tutti bravi, a dire parole; siamo un pò meno bravi tutti a coniugare a quelle parole, comportamenti coerenti sul piano dei fatti.

L’INTERVENTO DEL DOTT. CANTONE IN VIDEO, SU YOUTUBE (CANALE CGIL): https://www.youtube.com/watch?v=l9eAhovAXpw

TUTTI GLI INTERVENTI DELLA  TAVOLA ROTONDA (CGIL TV): http://www.cgil.it/dettagliodocumento.aspx?ID=16905

Si parla di contrasto alla criminalità economica, a Roma, giovedì 14 luglio 2011. Raffaele Cantone, tra gli esperti relatori, a Palazzo Valentini.

Si parla di Legalità e lavoro nero, nell’iniziativa nazionale promossa dalla CGIL, che si terrà a Roma, giovedì 14 luglio, presso la Sala della Provincia a Palazzo Valentini.

I lavori si apriranno alle 9.30 e proseguiranno fino alla conclusione, prevista per le 17 (con pausa pranzo dalle 13.30 alle 14.15).

Alle 10.30, a discutere di “Legalità economica: dal territorio all’impresa, un’altra idea di sviluppo”, durante la prevista Tavola Rotonda, saranno: Susanna Camusso, Segretario Generale CGIL; Raffaele Cantone,  Magistrato; Don Luigi Ciotti, Presidente Nazionale di Libera; Ivanhoe Lo Bello, Presidente Confindustria Sicilia; Giuliano Pisapia, Sindaco di Milano.

 

“Con questa campagna – spiega Serena Sorrentino, Segretaria Confederale della CGIL con delega ai problemi del Mezzogiorno– la CGIL vuole al contempo lanciare una stagione di contrattazione sulla legalità e lanciare un allarme sul tema che nella crisi i modelli e i settori di produzione non avendo risposte in termini di politica economica e di politica industriale sono stati esposti al rischio di contaminazione da parte delle economie criminali ed illegali”. Oggi circa un terzo dell’intera economia italiana è nelle mani delle mafie. E la crisi in corso sta peggiorando la situazione: si drenano risorse dai settori economici e finanziari legali a quelli criminali.

Le mafie siedono al tavolo dell’Economia.
Sono quelle degli affari, che parlano la lingua dei brokers, che tessono relazioni con il mondo dell’imprenditoria.
Che riciclano.
I mafiosi, oggi, si chiamano “Gattopardi”.

E’ tempo di agire.

“La dignità rubata”. Raffaele Cantone, intervistato da Francesco Anfossi, per Famiglia Cristiana.

<<C’è un solo peccato. Uno solo. Il furto. Ogni altro peccato può essere ricondotto al furto. Se uccidi un uomo, gli rubi la vita. Rubi il diritto di sua moglie ad avere un marito, derubi i suoi figli del padre. Se dici una bugia a qualcuno, gli rubi il diritto alla verità. Se imbrogli, quello alla lealtà>>.


Ragionando del settimo Comandamento in un Caffè romano dietro al Palazzaccio con Raffaele Cantone, magistrato anticamorra, vengono in mente le parole del padre di Amir, nel romanzo Il cacciatore di aquiloni.
In questo senso, la madre di tutti i predoni, la Grande Ladra, è la criminalità organizzata, nemica giurata di questo giudice coraggioso di 47 anni che ha contribuito a sconfiggere il clan dei Casalesi.
<<La Camorra>>, spiega Cantone, <<svolge un’attività di depredazione devastante dell’economia imponendo tangenti al sistema delle imprese. Non ruba solo attraverso i furti e le rapine.
Pensiamo al pizzo. Pensiamo ai rifiuti tossici. Sversando liquami velenosi nella nostra terra danneggia e ammorba l’ambiente dei cittadini.
E guastandolo ruba anche il futuro, depreda i diritti e la libertà della gente, spesso con la complicità di chi dovrebbe controllare, e invece non controlla, facendo parte delle Istituzioni. Ti toglie tutto, anche la dignità>>.
Per Cantone, che attualmente lavora al Massimario della Cassazione ed è autore di due libri di successo (Solo per Giustizia e I Gattopardi, Mondadori), l’ottica con cui si guarda a questo reato è cambiata negli ultimi anni.
<<Rispetto al Comandamento “Non rubare”, c’è un diverso approccio. Il primo è quello tradizionale, per il quale è rimasta l’identica stigmatizzazione sociale: è un reato infamante, relegato agli strati più bassi della società>>.

Chi ruba è ai margini della società?
<<In genere sì, a parte il furto in abitazione, che di solito è commesso da professionisti del crimine. Però appartiene anche alla sfera sociale di chi lo fa per necessità. Il taccheggio nei supermercati è aumentato in maniera esponenziale in soggetti lontani anni luce dalla tipologia del ladro. Povera gente, disoccupati, pensionati che nascondano nel cappotto la busta di prosciutto. Furti che sembravano scomparsi dalla tipologia criminale>>.

Qual è l’altro approccio?
<<La diversa stigmatizzazione sociale per meccanismi di depredazione di beni pubblici che non sono soltanto ritenuti meno riprovevoli, ma quasi compresi, addirittura approvati, perché da molti ritenuti espressione di intelligenza e scaltrezza>>.

Insomma, quando si tratta di depredare i beni pubblici, scatta l’applauso, quasi si trattasse di Arsenio Lupin…
<<Sì, ed è una cosa grave se pensiamo che depredare i beni pubblici, compreso il mancato pagamento delle tasse, è un furto per l’intera comunità>>.

I furti dei colletti bianchi sono più gravi?
<<Lo sono moralmente e giuridicamente. E infatti, alcuni di questi reati sono puniti in maniera grave. Ma non il falso in bilancio e l’evasione fiscale, ritenuti dal codice in alcuni casi persino solo illeciti amministrativi. Anche il reato di appropriazione indebita, con cui si puniscono i furti degli amministratori nei confronti delle società commerciali da loro gestite, è punito molto meno del furto, eppure può essere in molti casi più grave, per il danno che fa all’impresa e all’economia in generale>>.

E l’opinione pubblica è meno severa…
<<C’è in qualche modo una tendenza a ritenere meno grave il comportamento di soggetti che non sono criminali incalliti. Il legislatore ha inasprito la disciplina del furto tradizionale (furto con scasso, furto in abitazione), ma questo inasprimento non ha trovato una corrispondenza simmetrica con i reati di appropriazione della cosa pubblica, a parte il peculato, che è punito gravemente. Per non parlare di chi non rispetta il fisco. In America, l’evasione fiscale, che è un’elusione rispetto ai propri obblighi, è reato. Al Capone non sarebbe mai stato arrestato se non ci fosse stato il reato di evasione fiscale>>.   

(Francesco Anfossi intervista Raffaele Cantone per Famiglia Cristiana, sul numero 16 anno LXXXI. Foto di Alessia Giuliani/CPP).

Cronaca dal convegno all’Università degli Studi del Molise: “Il contrasto alla criminalità economica, nel quadro delle politiche per la Legalità”. Michele Pappone, dalla Facoltà di Giurisprudenza. Campobasso, 7 aprile 2011.

Campobasso, Facoltà di Giurisprudenza – “Il contrasto alla criminalità economica  nel quadro delle politiche per la legalità”“, è il titolo del Seminario di Studi che si è tenuto oggi 7 Aprile, ore 16:00, nell’Aula Vincenzo Cuoco  dell’Università degli Studi del Molise, al quale hanno collaborato, oltre alle istituzioni accademiche, anche il Comando Regionale della Guardia di Finanza, l’Ordine degli Avvocati di Campobasso e l’Associazione Forense Campobassana.
Al Seminario oltre al Rettore Giovanni Cannata, hanno contributo autorevoli personaggi del mondo accademico, ed i vari operatori del settore, come: Gianmaria Palmieri , Preside della facoltà di giurisprudenza ;Onorato Bucci , Direttore del Dipartimento di Scienze giuridiche ;Giuseppe Reale, Stefano Fiore, Agostino De Caro, Giovanni Di Giandomenico,  Università degli Studi del Molise, Fernando Verdolotti, Comandante Regionale della Guardia di Finanza, avv. Demetrio Rivellino, presidente Ordine degli Avvocati di Campobasso, e il dott. Raffaele Cantone, giudice presso il massimario della Corte di Cassazione.


 Il convegno, che ha visto la notevole presenza non solo degli addetti ai lavori ma altresì degli studenti dell’ateneo Molisano, ha illustrato lo stato attuale dell’impianto normativo volto al contrasto del fenomeno della criminalità economica ed ha prospettato le vie possibili da adottare per far fronte alle lacune esistenti nel nostro ordinamento giuridico.
“Oggi il rapporto società e criminalità organizzata, quale la mafia – ha spiegato il giudice Cantone – viene costruito in termini di consenso, e l’economia è uno degli elementi che favoriscono tale rapporto consensuale. E’ importante – ha aggiunto nel suo intervento – capire che spesso le misure repressive non sempre si mostrano soddisfacenti. La via maestra sarebbe quella di intervenire in via preventiva, e magari revisionare anche lo statuto dell’imprenditore, al fine di dissolvere meglio il binomio impresa-mafia, che ormai sempre più prende piede nella nostra realtà”.

Ringraziamo l’autore di questa precisa cronaca, direttamente dal convegno:
Michele Pappone (Rappresentante degli studenti all’interno del Consiglio di Facoltà di Giurisprudenza).

“Gattopardi, così le mafie stanno cambiando pelle”. Guido Ruotolo, da “La Stampa” (Cultura), giovedì 30.12.10

Usano il computer, comunicano con l’iPhone o il blackberry. Sono avvocati, professionisti, medici, commercialisti. Eppure, se serve, sanno imbracciare anche il kalashnikov, insomma il loro codice di comunicazione si basa ancora sulla violenza. Eccoli i nuovi Gattopardi, uomini d’onore delle moderne mafie che, per dirla con l’autore, «sono innervate nella società e hanno grandissima capacità di anticipare i mutamenti sociali e, quindi, di mimetizzarsi in quella zona grigia di cui in tanti parlano ma che resta agli occhi di molti un che di indistinto e incerto».

I Gattopardi (Mondadori, 279 pag, 18 euro) è un viaggio tra le vecchie quanto modernissime mafie che occupano la scena. Più che un’avventura, Raffaele Cantone (il magistrato in prima linea nelle indagini sui Casalesi), in questa virtuosa conversazione guidata dal giornalista Gianluca Di Feo, ci racconta la metamorfosi di Cosa nostra, camorra e ‘ndrangheta. È un viaggio senza ritorno. Palermo, Gomorra, la Locride. Quanto si assomiglia quest’Italia criminale. E poi, il Nord, Expo 2015, Buccinasco la Platì della Lombardia, la nuova mafia calabrese che parla lumbard.

È un libro da leggere, I Gattopardi, prezioso non perché sia raro imbattersi in saggi, riflessioni, romanzi o racconti di mafia. Anzi, in tempi di avare informazioni, il boom dell’editoria di denuncia lascia ben sperare, come del resto questa avidità di conoscenza delle nuove generazioni che hanno adottato come nuove icone di riferimento i Roberto Saviano che hanno sostituito i vecchi Che Guevara.

Mafie e antimafie. Scontro impari, ancora oggi. La tesi di fondo di Cantone è che la «propaganda» di questi mesi, il bollettino trionfale degli arresti dei latitanti, non ci ha aiutato a cogliere la «metamorfosi» di quella Mafia spa che, inabissata, si è trasformata. E lo stratega di questa metamorfosi è Bernardo Provenzano, che ha saputo far crescere una nuova leva di «Gattopardi»: giovani, laureati capaci, flessibili ma educati al rispetto dei codici d’onore.

«Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi». E’ sempre stato così, la mafia ha preceduto le novità, le innovazioni. Ha visto i processi di globalizzazione prima degli altri e si è adeguata. Tempi antichi, quattro decenni fa, quando con gli operai e i minatori che emigravano al Nord, in Europa, anche loro, gli uomini d’onore di Cosa nostra come della ‘ndrangheta mettevano radici nei nuovi territori. Oggi l’emigrazione porta il segno dei «colletti bianchi», delle nuove generazioni di intellettuali e professionisti meridionali che emigrano alla ricerca di un lavoro. Così anche loro, i nuovi mafiosi di quell’area grigia individuata da Cantone, trovano spazio al Nord.


La politica, l’impresa, la sanità, i servizi segreti. Colpisce, di questo bel libro, che l’autore utilizzi come fonti non le rivelazioni dei collaboratori di giustizia ma una mole impressionante di fascicoli processuali. La storia delle mafie è già stata scritta, anche processualmente. Solo che non è finita ancora. E il libro di Cantone aiuta a capire le ragioni.

18 gennaio 2010: Raffaele Cantone ad Aosta, per il progetto educativo “Percorso della Legalità”, destinato agli studenti valdostani.

Vengo da una realtà dove la camorra si respira come l’aria, non si può fare a meno di percepire la sua presenza costante. Dopo la laurea volevo fare l’avvocato penalista, ma troppo spesso, da praticante, mi accorgevo di fare il tifo per il pubblico ministero. Allora entrai in magistratura, e lì trovai veramente la mia dimensione, uno spazio stimolante dove dare sfogo alla mia curiosità intellettuale”. Ponendosi le giuste domande, e cercando le risposte ovunque le sue indagini lo portassero, Raffaele Cantone è diventato uno dei più temibili avversari della camorra.

Le varie forme di criminalità organizzata, come la mafia, la camorra e la ‘ndrangheta, si differenziano sotto molti aspetti, ma hanno un elemento comune: la capacità di creare consenso. Sono tanto potenti perché creano un legame con il territorio e con le persone che ci vivono, danno lavoro, garantiscono un certo tipo di servizi. Io – ha specificato – mi sono occupato in realtà solo della camorra, un sistema che prospera nel forte legame con le aziende, che vi si affidano completamente. Le imprese non hanno più bisogno di banche che imprestino soldi, di sindacati con cui venire a patti per la manovalanza, né di tribunali per recuperare i crediti, pensa a tutto la camorra. Quasi tutti i latitanti ritrovati in questi anni erano nascosti a casa di insospettabili professionisti e imprenditori (…)”

Emerge uno spaccato complesso della malavita campana, e delle sue ramificazioni, rintracciabili nei colossali investimenti effettuati nelle ricche regioni del Nord.

Cantone, sotto scorta dal 2003, ha affermato di  non riuscire quasi a ricordare come poteva essere vivere senza essere circondati da agenti. “E’ l’ultima cosa di cui mi lamento, sono grato della tutela offerta a me e alla mia famiglia.
Se tornassi indietro rifarei tutto, perché considero un privilegio il fatto di avere potuto attraversare dei momenti tanto difficili, ma anche tanto entusiasmanti”.

(Raffaele Cantone, intervistato da Elena Tartaglione per “Aostasera”, 19.01.10).

Il Dott. Cantone, ha poi dichiarato, intervistato insieme al Presidente della regione Valle d’Aosta, Augusto Rollandin:
“La criminalità organizzata ormai non conosce confini sopratutto nelle attività di reinvestimento; essa cerca “mercati” nei quali il denaro possa fruttare e il denaro non può fruttare o non frutta tanto al sud.. frutta molto di più al centro e al nord, perchè è sopratutto al centro-nord che si fanno gli investimenti maggiori!”

C’è bisogno di un intervento complesso, che sicuramente parte e passa per la repressione del fenomeno – ci mancherebbe altro! –  questo è indispensabile, ma che intervenga su questi meccanismi, quindi: sul legame con l’impresa; sul legame sulle Istituzioni e il mondo della politica, e richiede anche un intervento educativo, perchè certi meccanismi, certi modi anche di vivere, vanno modificati anche cambiando i codici educativi“.

PER ASCOLTARE L’INTERVISTA:
http://www.youtube.com/watch?v=Tv1z7DL5IN0