“La violenza dei padri, la condanna dei figli” – Raffaele Cantone su Il Mattino di Napoli, ed. naz. di martedì 9 aprile 2013

Non è ancora chiaro il movente né lo svolgimento della rissa in cui ha perso la vita un ragazzo di 14 anni.

fiaccolata_aversa_cinqueLe prime notizie indicano il deceduto ed i feriti come imparentati ed esponenti di primo piano del clan dei casalesi, sodalizio da sempre egemone nella zona; il padre del feritore sarebbe anche lui gravato da precedenti minori e, particolare interessante, il ragazzo sarebbe giunto sul luogo, malgrado sprovvisto di patente, a bordo di un’auto. Ieri, il Procuratore aggiunto, coordinatore della DDA di Napoli, Cafiero de Raho, uno dei maggiori conoscitori della realtà criminale, di recente promosso con pienissimo merito a capo di una delle Procure più importanti d’Italia, Reggio Calabria, nel corso di un intervento ad un convegno ha affermato che a Napoli e Caserta i clan camorristici sono in rotta.
E che in molte zone è persino possibile considerarli sconfitti. Cosa c’entrano un fatto gravissimo di cronaca nera e una dichiarazione di speranza di uno stimatissimo magistrato? In apparenza niente, ma il collegamento esiste, eccome.
Partiamo dalla dichiarazione di Cafiero; la sua analisi è, come al solito, lucida e pienamente condivisibile; negli ultimi anni sono stati sferrati alla criminalità camorristica colpi durissimi; molti clan (non tutti, in verità) hanno subito arresti dei capi ed affiliati e sequestri milionari di beni.
Tutti i latitanti più importanti sono stati assicurati alla giustizia e la loro prospettiva di recuperare la libertà è pari sostanzialmente a zero; resteranno detenuti per sempre o per tantissimo tempo. Molti clan, quali i ritenuti invincibili casalesi ad esempio, sono stati quasi rasi al suolo; arrestati tutti i componenti dell’ala militare, fino alle ultime fila. Sconfitti? Certamente sì!
Ma se cercassimo di riproporre la domanda in altro modo, la risposta sembrerebbe contraddittoria; lo Stato ha vinto? Io risponderei, con amarezza: no!
E qui ritorniamo all’episodio di cronaca nera; l’eliminazione degli affiliati e dei gregari non ha comportato il recupero degli spazi lasciati vuoti a favore da parte delle Istituzioni. Se qualcuno ne vuole la riprova, chiedesse agli abitanti di molte zone “liberate” se sentono essere venuto meno il gioco criminale e la risposta sarebbe, nel novanta per cento dei casi, “no”!
I vuoti di potere criminale sono stati occupati da giovanissimi, molto violenti e spregiudicati, spesso assuntori di cocaina, che scimmiottano i codici d’onore dei loro predecessori, di cui vantano parentele vere o presunte e che vogliono imporre il loro potere con la forza; vantano un unico carisma: la violenza bruta ed incontrollabile.
Mi guarderei bene dall’ascrivere l’episodio di Aversa a dinamiche “neocamorristiche”; saranno le indagini che stabiliranno l’accaduto ed i ragazzi coinvolti, per la loro giovane età, meritano soltanto vicinanza ed eventualmente compassione.
Ma essi, come i giovanissimi di Scampia che si allenano per comandare le ricchissime piazze di spaccio, hanno ereditato un brodo di coltura nel quale certe mentalità e certe logiche paramafiose possono attecchire facilmente.
La repressione ha fatto benissimo la sua parte; i magistrati e gli uomini delle forze dell’ordine hanno ottenuto risultati che non è esagerato definire eccezionali, ma cosa hanno le altre istituzioni per evitare che sui terreni rinascessero le male piante?
Pochissimo, per non dire niente; le agenzie educative di ogni tipo che avrebbero dovuto operare sui territori difficili ed avrebbero dovuto gettare i semi della rinascita dove sono e se ci sono cosa hanno fatto? Sul pano della prevenzione, tranne l’impegno di qualche associazione di volontariato operante con enormi difficoltà e senza aiuto, c’è pochissimo da segnalare.
Eppure da anni i tanti conoscitori del territorio avvertivano, inascoltate cassandre, che il semplice intervento sul piano penale e criminale non sarebbe bastato.
Episodi come quelli di Aversa non possono e non devono essere archiviati come i “soliti” incidenti della movida violenta; sono probabilmente tutt’altro; un campanello d’allarme che, si spera, non resterà ancora una volta inascoltato.

Facebook: nasce la pagina dedicata a “Football Clan”, il nuovo libro di Raffaele Cantone e Gianluca Di Feo, per Rizzoli Editore –

Amici di facebook,
è attiva, sul social network più seguito al mondo, la pagina dedicata a “Football Clan” – il libro di Raffaele Cantone e Gianluca Di Feo, per Rizzoli – nata per dar vita ad una “lettura interattiva” dell’opera.
Segnalate tutte le recensioni, le presentazioni del libro, le interviste, i commenti, gli articoli sul tema. 
Noi.. faremo lo stesso!

Vi aspettiamo, su https://www.facebook.com/FootballClan  🙂

 

“Operazione Penelope”, di Raffaele Cantone. Perchè Conoscenza è Libertà

Nel buio fitto della mancata conoscenza, in cui la società civile (vittima e carnefice, allo stesso tempo), vive prigioniera; nel tentativo di costruirsi una verità attraverso l’interpretazione di quelle ombre, cui la stessa società fa riferimento anche allo sciogliersi delle catene, appare talvolta una luce, potente, che alimenta in egual modo curiosità e paura.

Il nostro Paese ha vissuto e vive ancora, per certi versi, una stagione di mancata o superficiale attenzione al fenomeno mafie; come se bastasse parlarne, senza analizzare le concrete soluzioni (per poi realizzarle), senza affrontare la responsabilità di ciascun soggetto (in ambito politico); o fosse sufficiente riportare la notizia di questo, o quell’arresto, più o meno “eccellente” (il riferimento è al mondo della comunicazione).

“Operazione Penelope”, il nuovo lavoro del magistrato Raffaele Cantone (Mondadori editore 2012, per la Collana “Frecce”), si muove come una luce, che guida il lettore alla riflessione. Amaramente ironico, il titolo, chiaro riferimento ad una “lotta che rischia di non finire mai”, se le parole spese nelle sedi istituzionali più alte – come la tela di Penelope – vengono sgretolate nottetempo, per poi riapparire sotto forma di promesse sempre nuove, l’indomani.

I comitati di affari, le ecomafie, la corruzione; Cantone non dà alibi agli ignavi: li costringe nell’angolo delle responsabilità, con un ritmo incalzante, serrato; parole come saette, riflessioni che si susseguono appropriate, decise, nel suo caratteristico stile lucido e diretto. Le mafie che cambiano dinamiche, interessi, che non possono confinarsi in un determinato territorio, ma – e soprattutto in momenti di crisi economica come questo – sicure della propria liquidità, offrono i propri “servizi” a chiunque voglia accedervi; un pericolo evidente, quello rappresentato dai movimenti di quella “zona grigia” che troppo spesso cede alle lusinghe del sodalizio criminale, per avvantaggiarsi nei propri affari, accaparrarsi voti, risolvere questioni economiche o di altra natura. Le mafie che prosperano aiutate da taluni pezzi della società civile, dello stesso Stato, cui occorre attribuire precise responsabilità, nel disfacimento e la ricostruzione della tela di Penelope, metafora della lotta alle mafie sbandierata come uno spot e non realizzata. Agli arresti deve seguire altro: contrasto alla corruzione in primis; ed è tra le pagine 104-126, che si nasconde il “cuore” dell’interessantissimo libro di Raffaele Cantone, un capitolo interamente dedicato alla situazione attuale del Paese, che, sulle ceneri dell’inchiesta “Mani pulite”, in circa venti anni, non è stato capace di realizzare un sistema reale di prevenzione, repressione ed arginamento di questo sistema criminale, con un intervento legislativo ad hoc.

Un libro bello perché “umano”, scritto con la professionalità di un magistrato carico di una cultura giuridica immensa, che vive ogni giorno sulla propria pelle (paradossalmente, nel nostro bel paese civile!), il segno dell’impegno reale nel contrasto alle mafie; un uomo discreto ed equilibrato, che ama e rispetta come pochi, la toga indossata vent’anni e più orsono. Un libro che in un capitolo intenso, dedicato a chi muore di camorra, apre a chi legge, il cuore dell’autore; così come nel capitolo finale “Scrivere e parlare di mafia”, manifesta la grande ironìa di Raffaele Cantone, dote non comune, segno di raffinata intelligenza.

“Operazione Penelope” è un libro che apre la mente; uno scritto che non può non leggersi; un testo che garantisce 165 pagine di riflessione attenta e puntuale. Un libro che consigliamo a tutti.

Perché Conoscenza è Libertà.

 

“Cantone e la metamorfosi della camorra”, di Rosaria Capacchione, su Il Mattino di Napoli di domenica 1 aprile, ne L’analisi

IN “OPERAZIONE PENELOPE” IL GIUDICE RICOSTRUISCE LE TRAME DELLA CORRUZIONE CHE ASSEDIA L’ITALIA – UN LUNGO INTERROGARSI SU TERRITORIO E CRIMINALITA’ E IL DIALOGO CON I LETTORI SUI CARDINI DELLA GIUSTIZIA

C’è un libro, pubblicato un quarto di secolo fa, che racconta i tormenti dell’innamorato affidando però, sogni, speranze, dolori, alle parole di quanti hanno scritto nei secoli di quelle stesse passioni.
E’ una raccolta di frammenti, messi in fila da un esperto di segni – Roland Barthes –  che li ha tradotti in un solo discorso, nell’universalità dell’amore che pure cita solo trasversalmente. C’è un altro libro, in distribuzione da martedì che mutua la stessa struttura narrativa parlando di giustizia, delle sue regole, delle sue criticità – senza essere un manuale, senza prescrivere rimedi, senza mitigare gli affanni causati dall’amministrazione incompiuta di quella giustizia, appunto, ostinatamente inseguita in ogni sua pagina. Eppure, come Pier Vittorio Tondelli scriveva dei “Frammenti di un discorso amoroso”, alla fine del testo, improvvisamente, la coscienza di ciò che va fatto si rafforzerà.
Anche Raffaele Cantone, magistrato, pubblico ministero fino all’autunno del 2007, oggi giudice in Cassazione, è un esperto di segni.
Li ha raccolti e raccontati, chiamandoli indizi e prove, nelle sue carte giudiziarie e poi (e soprattutto), nei tanti scritti pubblicati per la maggior parte su “Il Mattino”, nel blog della stessa testata informatica, ma anche sull’Unità e L’Espresso: un lungo dialogo con i cittadini, quel popolo italiano nel nome del quale ha chiesto condanne e assoluzioni ricostruendo le tragedie collettive della parte più sofferente della Campania.

Conversazioni a distanza che, messe in fila l’una dietro l’altra, disegnano metamorfosi e patologie di una parte d’Italia pesantemente condizionata dalla camorra e dalla corruzione. Si chiama, il libro (Mondadori, pag. 176, euro 12), Operazione Penelope.
Il sottotitolo spiega la ragione della raccolta, che in verità raccolta vera e propria non è: “Perchè la lotta alla criminalità organizzata e al malaffare rischia di non finire mai”.
Eppure, Cantone non dà risposte.
Formula molte domande, s’interroga, investiga – è il suo vero mestiere, mai abbandonato nonostante il cambio di mansione – offrendo, talvolta, soluzioni che appaiono come pretesti retorici per indurre nuovi ragionamenti: sulle responsabilità politiche, ma, soprattutto su quelle del sistema Italia nell’omessa rimozione delle cause che hanno determinato la prevalenza della camorra in ampie fasce del territorio napoletano e casertano.
Quasi proseguendo il tema già affrontato nel suo precedente lavoro, I gattopardi, individua nella corruzione la malattia che sta uccidendo il Paese. Corruzione di nuova generazione, una “melassa criminosa”, come la definisce, che tiene insieme funzionari pubblici, imprenditori e, ovviamente, la criminalità organizzata. Una degenerazione facilitata dallo smantellamento dei vecchi sistemi di controllo (Coreco), sostituiti dalle Soa, società private di vigilanza pagate dalle stesse imprese che devono essere controllate. La conseguenza è l’imbarbarimento della politica e delle rappresentanze democratiche, scelte (scelte?) in virtù di scndalose operazioni di compravendita del consenso che hanno portato alle elezioni candidati “impresentabili”.
Le domande che Cantone pone soprattutto a se stesso, sono le domande del magistrato-investigatore che non cade mai nella tentazione di sovrapporsi (e sostituirsi) al giudice infallibile, che Voltaire e poi Sciascia indicano come la negazione del concetto di giustizia.
Lui chiede perchè ha effettivo bisogno di sapere, e dai lettori-interlocutori raccoglie le indicazioni necessarie  a costruire un dialogo secondo le regole del processo.
Solo nelle ultime pagine, in una lettera a Silvio Berlusconi, si concede lo spazio dell’ironia. Il divertissement dell’uomo che per una volta prevale sull’uomo di legge.

 

 

 

Raffaele Cantone, ospite di “Che tempo che fa”, sabato 31 marzo 2012

Raffaele Cantone, sabato 31 marzo, sarà ospite della trasmissione di punta, nel “prime time” della terza rete Rai.

Il magistrato e scrittore, raffinatissimo studioso e straordinario conoscitore del Diritto, da sempre impegnato nella lotta alle mafie, che “non potranno finire soltanto ad opera delle forze dell’ordine o della magistratura, bensì attraverso la partecipazione civile, con l’impegno quotidiano e coerente”, siederà sulla poltrona bianca nello studio di Milano, il prossimo sabato sera, per farci riflettere sul fenomeno mafioso, su temi quanto mai  ancora attuali, quali la corruzione, nell’occasione dell’uscita del suo ultimo lavoro editoriale: “Operazione Penelope”, Mondadori editore, 2012, Collana Frecce, in tutte le librerie a partire da venerdì 30 marzo.
Appuntamento imperdibile, dalle 20.10 circa, davanti alla tv od allo schermo del pc.

Su “Operazione Penelope” (recensione Ibs): Convitato di pietra, cancro, «fattore C»: la criminalità organizzata è stata definita in tanti modi diversi. Raffaele Cantone, per otto anni alla Direzione distrettuale antimafia di Napoli, la conosce come pochi. Un mondo complesso che affonda le sue radici nella realtà del Sud, ma non solo. E che da tempo, ormai, è uscita ben al di fuori dei confini della delinquenza tradizionale, diventando ora un occulto quanto determinante socio in affari, ora un candidato «impresentabile» alle elezioni, ora un alibi dietro cui nascondere l’inefficienza delle amministrazioni pubbliche nel gestire grandi emergenze, prima fra tutte quella dei rifiuti campani. Proprio partendo dalle tante riflessioni sui mille volti della camorra, emerse non solo nel corso del suo lavoro di magistrato ma anche intervenendo a incontri pubblici e sulla carta stampata, Cantone affila come un bisturi il suo sguardo per tracciare un lucido spaccato dei mali della società italiana, oggi più che mai dilaniata fra l’anticultura del malaffare e la volontà di voltare finalmente pagina, in nome del rispetto delle regole. E nutre una speranza: unire alla forza delle azioni il potere delle parole, per condividere una battaglia che è di tutti gli italiani, quella contro l’illegalità diffusa che può corrodere le basi democratiche ed economiche dell’intero paese.

Da uomo di legge e attento osservatore, ricostruisce così le complesse trame fra la nuova borghesia camorrista dei colletti bianchi e gli amministratori pubblici, i politici collusi e il sottobosco delle cricche, salendo su su fino ai centri del potere deviato e al fenomeno della corruzione, che rappresenta uno dei più gravi rischi per la nostra economia attuale. Una «zona grigia» efficientissima, cui magistrati, forze dell’ordine e cittadini onesti si oppongono fra innumerevoli difficoltà. Ma il loro lavoro, giorno dopo giorno, rischia di diventare una tela di Penelope senza fine. È non lasciandoli soli, e continuando a parlare e scrivere di connivenze e malaffare, che l’illegalità potrà essere definitivamente sconfitta.

Giovedì 10 novembre 2011: Raffaele Cantone e Don Tonino Palmese a Campobasso, per Libera Molise

Organizzato da Libera Molise, giovedì 10 novembre alle ore 17,30 presso la “Sala della Costituzione” della Provincia di Campobasso si terra l’incontro dibattito “La zona grigia – Quella della società e quella delle coscienze”. Relatori d’eccezione un magistrato e un sacerdote da anni in prima fila contro la malavita organizzata: Raffaele Cantone e don Tonino Palmese. La “zona grigia” è stata introdotta vent’anni fa dallo scrittore piemontese Primo Levi nel suo libro “I sommersi e i salvati” per indicare qualcosa di nascosto, di impenetrabile, uno spazio dove si cospira, quello di coloro che in vario modo e a vario titolo e responsabilità collaborano al funzionamento della macchina del potere; “… questa zona possiede una struttura interna incredibilmente complicata, ed alberga in sé quanto basta per confondere la nostra capacità di giudicare. L’Infiltrato ha intervistato Raffaele Cantone, il magistrato che ha fatto condannare importati malavitosi e capiclan come Francesco Schiavone e Francesco Bigognetti dei Casalesi. Minacciato di morte, da anni Raffaele Cantone vive sotto scorta.

La “zona grigia”, intervista al magistrato Raffaele Cantone

Dottor Cantone, cos’è esattamente quella che lei chiama la “zona grigia”?

Con “zona grigia” intendo riferirmi a quella parte della società che pur non essendo parte integrante delle organizzazioni mafiose ha con esse contatti di varia natura, soprattutto sul piano della connivenza e degli affari. E’ una realtà purtroppo che si è molto estesa negli ultimi anni e che è la vera forza di questa nuova mafia che spara sempre meno e fa sempre più affari in apparenza leciti; e se riesce a fare affari di questo tipo lo fa grazie soprattutto a questa famosa zona grigia.

Questa terra di mezzo, ovvero il collegamento tra malavita e potere politico-amministrativo, è un male italiano dalle radici antiche. A cosa può essere attribuita la genesi di questo fenomeno?

E’ difficile dirlo, perché non sono un sociologo né tantomeno uno storico; so per certo, però, che in molti snodi della vita italiana le mafie hanno svolto un ruolo di “supporto” a realtà non mafiose; gli storici, ad esempio, sono ormai concordi nel ricordare come la camorra dell’epoca (fenomeno tutto diverso da quello attuale) svolse un ruolo nel periodo in cui Garibaldi arrivò a Napoli; il famoso prefetto Liborio Romano utilizzò i camorristi per tenere l’ordine a Napoli; e persino durante lo sbarco degli alleati in Sicilia durante la seconda guerra mondiale i mafiosi giocarono un ruolo e ne ottennero non pochi vantaggi nella fase post bellica. Ma per essere più vicini ai tempi nostri, sembra accertato che le mafie abbiano svolto ruoli impropri in molte vicende anche recenti, appoggiando uomini e schieramenti politici ed influendo sui dati elettorali. E ciò che si intravede con riferimento al periodo delle stragi del 1992 lascia davvero inquieti.

Le mafie di oggi non sono più “coppola e lupara”, ma “agenzie di servizi”, come lei ha più volte evidenziato. Come si entra oggi in queste “agenzie” e dove nascono i nuovi mafiosi?

Le mafie si muovono come service soprattutto rispetto al mondo imprenditoriale; risolvono problemi e non solo agli imprenditori meridionali; quante volte grandi marchi nei settori della distribuzione di beni di largo consumo hanno concesso mandati o agenzie ad uomini dei clan? E la ragione è evidente; i clan eliminano i problemi ambientali, aiutano nell’interlocuzione con il mondo delle istituzioni, procurano danaro a basso interesse etc. Possono essere in alcuni casi alleati sì scomodi ma molto utili in logiche squisitamente utilitaristiche.

Uno dei pericoli maggiori, è che chi denuncia la “zona grigia” venga lasciato da solo. Come si combattono la paura da un lato e l’omertà dall’altra?

La paura e l’omertà si combattono da un lato non lasciando soli i coraggiosi che denunciano, dall’altro con le risposte efficienti delle istituzioni; se un imprenditore denuncia il pizzo ed arrivano subito arresti e condanne si lancia un segnale inequivocabile; e se poi quell’imprenditore viene aiutato nella fase successiva alla denuncia dalle associazioni di categoria, dalle organizzazioni di volontariato ed antiracket si  evidenzia a tutti – mafiosi compresi – che non è solo e  si stimolano comportamenti emulativi analoghi. Esempi virtuosi recenti anche in provincia di Napoli dimostrano quanto ho detto.

Lei ha fatto condannare importati malavitosi e capiclan come Francesco Schiavone e Francesco Bigognetti dei Casalesi. Oggi lei vive sotto scorta: si sente solo dottor Cantone?

Continuo a vivere sotto scorta e sicuramente ne risentono molti aspetti della mia vita privata; ma sarebbe ingiusto lamentarmi perché lo Stato spende tanto per proteggermi e farmi sentire tranquillo. Oggi mi sento molto meno solo, perché sento anche tanta attenzione da parte di molte persone anche della mia realtà; un po’ di solitudine (ovviamente sotto altri aspetti), del resto,  per un magistrato è persino fisiologica; un magistrato deve fare molta attenzione a tutti i suoi comportamenti anche privati, comprese le frequentazioni e questo in certi ambienti ti rende sicuramente un po’ più solo.

Molti giovani trovano nella “zona grigia” la soluzione a tanti loro problemi – penso alla ricerca di un lavoro – che lo Stato non riesce ad affrontare. A questi giovani che rischiano di essere risucchiati da questo buco nero, lei cosa si sente di dire? 

E’ una soluzione dei problemi che è spesso peggiore dei problemi; chi viene risucchiato in quello che lei chiama buco nero si accorge dopo di quanto è nero il buco; questa gente non regala niente a nessuno e se dà poi chiede con gli interessi.

Quello sulla Magistratura è un tema che tiene banco da anni. Lei ritiene che vi sia una necessità di riforma, e se sì, in che termini? In particolare, qual è il suo pensiero sulla ipotesi di separazione delle carriere?

E’ indispensabile una riforma che renda efficiente l’attività della magistratura; i tempi attuali della giustizia sono incompatibili con quelli di uno stato civile; su questo si dovrebbe lavorare di comune accordo con la politica, la quale, però, è spesso interessata o solo a battaglie ideologiche o a ridurre gli spazi del controllo di legalità della magistratura. Quanto alla separazione delle carriere, non solo non è utile in termini di efficienza ma rischia di essere dannosa per un sistema democratico in cui il p.m. deve avere una cultura giurisdizionale analoga a quella del giudice.

Dottor Cantone, lei oltre all’attività di magistrato è anche uno scrittore brillante. A cosa sta lavorando in questo periodo? 

In questo periodo sono molto preso dal lavoro in Cassazione, ma ho scritto abbastanza soprattutto in materia giuridica; proprio in questi giorni è uscita una voce su un’enciclopedia specialistica in materia penale di cui vado molto fiero, perché è la voce “associazione mafiosa”. Continuo poi a scrivere articoli sui giornali sui temi della giustizia che mi stanno molto a cuore; ho anche qualche idea sul piano editoriale ma non so se  poi si tradurrà in qualcosa di concreto.

(L’intervista è di Pasquale Di Bello – per www.infiltrato.it –  la foto a cura dei fotoreporters di Wrong (trasmissione web radio, in onda ogni venerdì dalle 12.00, su www.radiosiani.com )

Cronaca di una serata. Raffaele Cantone a “Che tempo che fa”, domenica 28.11.10.

<<Troppe persone sono in grado di riempirsi la bocca di belle parole, noi abbiamo bisogno di comportamenti coerenti con le parole che si dicono>> (Raffaele Cantone, intervistato da Fabio Fazio a “Che tempo che fa”, Milano, 28.11.10).

Fuoco.
E’ una fiamma viva, accesa, quella che leggiamo negli occhi di Raffaele Cantone.
La fiamma di chi parla e scrive di camorra con grandissima competenza, di chi ha le chiavi, quella magica combinazione per aprire le porte delle nostre menti, a volte un pò insonnolite o stanche.
Quel che abbiamo ascoltato, ieri sera, sono parole chiare, dirette, che il Dott. Cantone ha offerto a chi lo intervistava ed a chi lo ascoltava con quella dote che da sempre lo caratterizza: la semplicità.
Le mafie che si mimetizzano, che abbandonano “la coppola e la lupara” per “le scarpe di coccodrillo” (così, Raffaele Cantone, nell’intervista di ieri),  per intrecciare legami con imprese che si rivelano essere talvolta non vittime, ma “acquirenti”, che si affidano, per risolvere questioni e problemi, al “camorra service”; mafie che da abili giocolieri siedono con tanto di fishes luccicanti ai tavoli di potere, nei momenti decisionali della vita delle amministrazioni pubbliche; che si nascondono dietro le spalle, usandoli, dei  “cavallucci” di turno, per conquistarsi la fetta più ghiotta della torta, nelle spartizioni politiche territoriali.

E noi? Possiamo considerarci “estranei” a queste dinamiche del gioco o dell’affare sporco, noi semplici e comuni cittadini?
E no. Non è proprio così. E’ lo stesso Raffaele Cantone, nello splendido intervento di ieri, iluminante come sempre, a spiegarcene il motivo.
<<Nella distribuzione dei prodotti, nel momento del commercio, le mafie riescono ad ottenere grandissime possibilità di profitto>> . Quando andiamo a fare la spesa, ad esempio, rischiamo di essere veri “finanziatori” delle mafie. Pensiamo ai grandi centri commerciali che sorgono nelle zone ad alta densità mafiosa. Pensiamo alle attività di riciclaggio. Inconsapevolmente e drammaticamente partecipi, dei grandi affari delle mafie.

Parlare di camorra non è affatto una passeggiata di salute.
Parlarne con cognizione, usando i giusti toni, poi, è quasi fantascienza. 
Raffaele Cantone ci ha magnificamente sorpresi, dal primo incontro, per tanti motivi.
Il primo, tra questi, si chiama Competenza.
E si badi bene, non solo perché nel suo curriculum può vantare un’esperienza da Magistrato in seno alla DDA per ben otto anni, no.
E’ la sua curiosità, che ci sorprende.
La sua sete, mai appagata.
Un Uomo che siede in Cassazione e che ha costantemente voglia di conoscere, di scoprire, di confrontarsi, di approfondire.
Di sentirsi sempre studioso e.. studente.
Un desiderio mai maniacale, però, mai ossessivo, ma che si rivela essere vero amore per il suo lavoro e per il Diritto, per la Legalità. Lontano da esaltazioni. 

Il secondo dei motivi che ci portano ad apprezzare ed ammirare questo giovane Magistrato è a questo punto facilmente intuibile, si chiama: Condivisione.  

Raffaele Cantone non è un Uomo saccente.
Non nasconde il suo sapere nella torre di un castello alto milioni di  metri, per utilizzarlo al momento giusto e farne strumento per creare distanza, tra sé e gli altri.
Questa continua ricerca, queste analisi, i suoi scritti, queste sue riflessioni, sono oggetto di confronto con tutti, durante i numerosi incontri che tiene nelle scuole, come nelle Università o presso le Associazioni.
Raffaele Cantone spiega a noi dinamiche e dettagli dei fenomeni criminali, con la stessa identica passione ed attenzione, con la quale ascolta gli altri, su questi temi. Ci invita al dibattito, al dialogo. Ama il confronto.

Tutto questo è per noi, importante. Potersi confrontare su temi così difficili e a volte duri da accettare; soffermarsi su quei meccanismi che sembrano così lontani, eppure così presenti, nella nostra società; parlare di camorra dove fino a poco tempo fa non si riusciva, rappresentano vittorie fondamentali sulle barriere della mancata conoscenza e dell’omertà.

Per vincere le mafie, occorre sapere, conoscere la verità.
Quella che si palesa e quella che si nasconde.
E Cantone riesce brillantemente ad aprire quella porta socchiusa della nostra mente.

Anche stasera, dallo studio di “Chetempochefa”, ci ha offerto, lo spunto per parlare di un altro motivo di ammirazione, nei suoi confronti.
Arrivare agli altri, senza urlare.
Senza mezzi termini o artifizi retorici: uno stile diretto, incisivo, pungente. Ma equilibrato. 
Di grandissima classe. 
A volte sfiorando (incantevole!), le corde dell’ironìa, con sapiente maestrìa. Funambolo delle parole e della Lingua.

Raffaele Cantone si fa ascoltare, dagli altri. Fossero ragazzini di prima media o uomini dalla barba bianca dall’aria disfattista, ha il dono naturale di penetrare la mente di chi lo ascolta, ma non per dominarla, bensì per stuzzicarla, stimolarla, portarla alla riflessione.

Questa è la differenza che fa di un uomo un grande Uomo. 

Una forte personalità, una grandissima passione, un entusiasmo senza confini, la speranza che si fa Fede, nel contrastare le mafie anche su un terreno diverso da quello squisitamente giudiziario.

A volte più incisivo, di quello giudiziario.

Chi legge Cantone, viene proiettato dentro se stesso, non in un contesto avulso dal suo essere;  in questo crediamo che anche “I Gattopardi”, come tutti gli scritti del Magistrato, sia un “Libro interattivo”. Perché è un testo che stimola la nostra riflessione, la nostra curiosità, le nostre domande; parole in movimento, che non restano ferme, ma ti solleticano, ti spingono oltre, sollevando interrogativi.

La verità che smuove le coscienze. Perchè il fenomeno “camorra” non è estraneo da noi.  
C’è un fuoco, che arde negli occhi di quest’Uomo. Ed è lo stesso fuoco dal quale noi lettori, noi ascoltatori, noi cittadini, attingiamo, nel leggerlo o nell’ascoltarlo.

Quello di una certezza, dell’inequivocabile certezza secondo la quale tutto può cambiare.
Con la parola, con la conoscenza dei fenomeni, innanzitutto.
Ecco perchè riteniamo “I Gattopardi”, un Libro fondamentale.
Ed ecco perchè Raffaele Cantone rappresenta per noi una guida fondamentale, nella lotta alla camorra.
E’ insieme a Lui, aiutati dalle sue parole, spinti dalla sua stessa sete di conoscenza, che vogliamo affrontare questa lotta.
E siamo convinti, che la luce del giorno non è così lontana.

“…ora dobbiamo attraversare la notte” – così, Jack Kerouac –
Questa è una notte diversa, dalle altre.
E chi ha ascoltato Raffaele Cantone, nell’intervista di Fabio Fazio su Raitre, ci avrà compreso.

 

 

 

 

INTERVISTA INTEGRALE RAFFAELE CANTONE “CHE TEMPO CHE FA”, MILANO, DOMENICA 28 NOVEMBRE 2010: