“Restare qui e lottare per cambiare” – Raffaele Cantone, su Il Mattino di Napoli, ed. naz. di mercoledì 4 dicembre 2013

 

Vincenzo Viglione photographer

Vincenzo Viglione photographer

Nell’ultimo mese ho ricevuto numerosissimi sms, telefonate o richieste fatte a voce che contenevano tutte più o meno la stessa domanda:”Dobbiamo andarcene, dalla Terra dei Fuochi?”. In molti casi, alla domanda si aggiungeva una precisazione non da poco: “Abbiamo figli piccoli e siamo terrorizzati”. Voglio provare a rispondere a queste richieste non come magistrato, né tantomeno come tecnico del diritto, ma come cittadino che abita (da sempre) nel cuore della zona ritenuta maggiormente inquinata, per raccontare la mia esperienza e per portare ancora una volta alla luce il livello incredibile di paura e di preoccupazione che serpeggia fra tanti abitanti. Le fotografie di tanti bambini (e non solo) morti per malattie oncologiche, mostrate nel corso di una delle maggiori manifestazioni di protesta dell’ultimo periodo, hanno evidentemente avuto un effetto profondo ed indelebile.
Chi mi rivolgeva il tremendo quesito, se fosse ormai ora di emigrare, lo faceva perchè pensava che io avessi risposte o dati certi. Nella maggior parte dei casi, credo, che ci sia un impagabile desiderio di rassicurazione. Confesso che ai primi amici ho risposto con un po’ di sicumera: “Io non ho intenzione di andar via; questa è la mia terra dove sono nato e a cui sono, malgrado tutto, legatissimo e non la lascio”. Ammetto, però, che nel corso dei giorni ho cominciato ad abbandonare questo mio atteggiamento un po’ troppo fideistico ed il tarlo del dubbio mi ha portato, in certi momenti, a dirmi: già lavoro a Roma, posso allora anche io decidere di cambiare vita; tante volte – mi sono ancora detto – per ragioni diverse, questa idea mi era balenata e potrebbe essere arrivato il momento di rompere gli indugi.
Si è trattato, in verità, solo di momenti. Perchè, con tanti più dubbi di prima, rimango ancora saldo nella mia posizione iniziale; resto, non perchè intendo sfidare alcunchè (anzi, da buon napoletano scaramantico, faccio i dovuti scongiuri), ma perchè mai come in questo momento, è indispensabile continuare a vivere qui, per provare a cambiare queste terre, approfittando di un momento di grande partecipazione anche emotiva di tante persone, che finalmente si stanno rendendo conto che i criminali che qui hanno spadroneggiato, hanno fatto danni a tutti.
Ma questa motivazione personale, tutto sommato ideologica, pur forte, lascia molti interrogativi aperti anche in chi non si fa impressionare dalle indicazioni profetiche di qualche pentito che sembra Nostradamus, quando annuncia la prossima fine del mondo, né tantomeno da dati di scarso valore scientifico e tecnico snocciolati da alcuni catastrofisti, che si stanno conquistando grande audience in questo periodo.
Il bisogno di informazioni è oggettivo. Queste non devono essere necessariamente rassicuranti, ma assolutamente il più vicino possibile alla verità. L’assenza di notizie ufficiali, infatti, finisce per alimentare ancor di più voci incontrollate ed un terrore del tutto irrazionale.
Provo ad ipotizzare alcune delle domande chela gente si pone: c’è un aumento effettivo, di malattie oncologiche, collegate a fenomeni di inquinamento? Ci sono rischi, nell’ingerire prodotti provenienti da queste terre?
L’acqua è davvero, potabile? Quali e quanti, sono i terreni inquinati? E da quali materiali? Su queste domande occorrono risposte delle autorità certe, condivise e confermate nel tempo.
Ieri, il Governo ha finalmente varato l’atteso decreto legge sulla Terra dei Fuochi. Dalle anticipazioni dei giornali, sembra che il provvedimento di urgenza spazi opportunamente su più fronti, da quello repressivo degli sversamenti abusivi e degli incendi di rifiuti tossici e pericolosi, a quello più squisitamente preventivo, con l’individuazione e la perimetrazione dei luoghi inquinati sui quali eventualmente vietare alcune coltivazioni e poter poi provvedere alle bonifiche. Si tratta di una legge che va nella giusta direzione ed è il primo atto con cui il governo scende in campo in modo concreto e fattivo sulla questione.
Certo, proprio perchè complesso, il decreto merita di essere approfonditamente studiato ed in questo senso bisognerà anche attendere la conversione in legge per comprendere gli eventuali emendamenti apportati nella fase parlamentare. Ci sarà, quindi, occasione per poter, in modo più preciso, ritornare su di esso anche per stimolare eventuali correttivi e miglioramenti.
Il decreto varato ieri era di certo indispensabile, male risposte agli interrogativi che le persone si pongono, lo sono ancor di più. Non si possono lasciare tanti cittadini disorientati: è un diritto di tutti, sapere e capire. Anche perchè conoscendo, si può ancora prevenire ed evitare eventuali altri disastri.

“La spia che voleva la Roma” – Raffaele Cantone e Gianluca Di Feo, per l’Espresso, n. 42 del 18 ottobre 2012

L’uomo dei misteri della trattativa Stato-mafia dietro il blitz tentato nel 2008.
Lo racconta un libro sul lato oscuro del calcio.

La trattativa è cominciata a gennaio 2009, con la proposta di uno dei più rispettati giuristi italiani: Natalino Irti, ex presidente del Credito Italiano e titolare di uno studio affermatissimo. Tutto secondo le regole dell’alta finanza. Il professor Irti chiede all’avvocato dei Sensi di intavolare colloqui esclusivi per l’acquisto dell’intera società.

Spiega di agire per conto di un cliente molto noto nell’ambiente sportivo: l’agente Vinicio Fioranelli, attivo nel calciomercato di tutta Europa. Fioranelli è nato nelle Marche ma ha fatto fortuna in Svizzera, prima come ristoratore poi come rappresentante di giocatori. Da procuratore tratta nomi di buon livello – Karl-Heinz Riedle, Thomas Doll, Dejan Stankovic e Marcelo Salas – e si impone nella cerchia della Lazio da scudetto diSergio Cragnotti. Sa che i Sensi devono vendere e che Unicredit vuole liberarsi il prima possibile della squadra. Dice di avere pronti 200 milioni di curo. Ma quando si tratta di scoprire le carte, invece di tirare fuori i quattrini fa entrare in scena un socio tedesco con un cognome da gotha: Volker Flick. Lo presenta come un discendente della dinastia dei magnati dell’acciaio, “parente di Mick e Muck, i due fratelli che possedevano la Mercedes, e che ha già 300 milioni di euro in caldo per chiudere il contratto. Non ci credete? Eccovi le coordinate telematiche del suo conto, controllate pure…”.

Ma gli advisor che hanno affiancato la proprietà non si fidano di quella certificazione elettronica. li vicedirettore di Medio-banca Maurizio Cereda vuole però andare avanti nella trattativa e organizza lunghe riunioni di avvocati tra Roma e Zurigo per concordare il pagamento: Fioranelli accetta di mettere 300 milioni di euro su un conto vincolato fino alla fumata definitiva. Dice a Mediobanca che è disposto a lasciare una quota simbolica delle azioni e la presidenza a Rosella Sensi, poi il giorno dopo ci ripensa: “I tifosi non la amano, preferisco fare a meno di lei». C’è un solo problema: i 300 milioni non si vedono. Mediobanca sollecita il bonifico concordato, ma Fioranelli si arrampica sugli specchi e prende tempo. Nemmeno i venditori vogliono staccare la spina, implorano almeno un segno di buona volontà: «Ci faccia parlare con la sua banca per trovare una soluzione…”.

Per due settimane lui si nega, lascia il telefono al figlio. 22 giugno, i banchieri danno l’ultimatum: altri tre giorni, poi salta tutto. Così avviene: il sogno si chiude con un breve comunicato ufficiale. Mediobanca però, ancora non sbatte la porta. Il vicedirettore centrale Cereda dichiara: “Ho avuto contatti con il Fioranelli fino alla domenica successiva, il 28 giugno; ho fatto presente che il discorso poteva essere ripreso qualora si realizzassero le condizioni…”. Quando scade l’ultimatum dei Sensi, i finanzieri del Nucleo centrale valutario si sono già fatti un’idea precisa su chi c’è dietro quella trattativa. Anzitutto Herr Flick. Non è parente della famiglia della Mercedes: risulta avere gestito malamente un negozio di mobili, con tanti debiti da venirgli vietato di emettere assegni. Poi si è fatto notare per una fantasiosa sequela di iniziative. Nel 2007 la Deutsche Hank lo ha sorpreso mentre cercava di fare un bonifico telematico da mezzo miliardo di euro. L’anno dopo viene beccato mentre propone al premier turco Erdogan un investimento da un miliardo di dollari. Operazioni sempre virtuali, che trovano una spiegazione quando le intercettazioni captano le conversazioni tra Fioranelli e un misterioso personaggio attivo tra Italia e Svizzera, uno che si fa chiamare “generale Bruni” o “generale Rivera“. Al telefono “il generale vanta rapporti con I’intelligence americana e araba, nonché entrature nelle principali banche del pianeta, incluso lo lor del Vaticano“.

Per gli investigatori è una vecchia conoscenza: si tratta di Elio Ciolini. Un nome che ha segnato la storia delle trame italiane. Nel 1982 è nella stessa prigione ginevrina di Licio Gelli e parla di una pista internazionale per la strage di Bologna, indicando una misteriosa loggia massonica di Montecarlo. Per i magistrati è un depistaggio, con oscuri mandanti che un vero generale del Sismi identifica proprio nella P2. Dieci anni esatti dopo, mentre la Prima Repubblica viene abbattuta dalle bombe di mafia, il solito Ciolini evoca un golpe per destabilizzare il Paese. Le sue elucubrazioni trovano ascolto al ministero dell’Interno, scatenando la massima allerta. Nel 2001, alla vigilia delle elezioni Silvio Berlusconi parla ai giornalisti di un piano per assassinarlo. La questione campeggia sulle prime pagine. Poi spunta l’origine delle rivelazioni: sempre lui, sempre Ciolini.

Ascoltando i telefoni, gli investigatori si convincono che dietro Fioranelli ci sia l’uomo dei depistaggi. Lo definiscono “l’istigatore” della scalata alla Roma, che ora assume il profilo di una colossale operazione di riciclaggio. E con Ciolini c’è un altro asso di denari, sempre dietro le quinte. Si chiama Vittore Pascucci: è stato arrestato con un vecchio capo di Cosa nostra; ha avuto rapporti con lo storico cassiere della ‘ndrangheta lombarda; si è mosso assieme ai riciclatori del clan camorrista Galasso. Al suo fianco sono passate generazioni di faccendieri, da Pierluigi Torri a Flavio Carboni. Pascucci e Ciolini risorgono sempre dalla cenere delle loro imprese. Nel 2008 hanno in cassaforte una ventina di certificati di credito del governo americano “per un valore complessivo di 565 miliardi di dollari Usa”, come recita testualmente l’atto d’accusa. Carte che intendono trasformare in soldi veri. Puntando sulla Roma. Il piano viene smascherato nella primavera 2010 con l’arresto di Fioranelli e Ciolini, accusati di avere ingannato le autorità di Borsa. Il maestro delle trame scompare nel nulla. Invece l’agente dei campioni finisce in manette e patteggia una condanna a un anno e dieci mesi. E stato una vittima? L’ordine di cattura lo definisce un complice. Il documento ricostruisce un altro tentativo inedito di entrare in Serie A: nel 2008 lui voleva prendere il Bologna.
E lo avrebbe fatto contando su un altro stock di titoli sospetti, questa volta brasiliani. In quella occasione Fioranelli ha preteso di inserire nella bozza di accordo una clausola specialissima: “Se il contratto non viene concluso, le pagine devono essere distrutte“.

“Football Clan” – perchè il calcio è diventato lo sport più amato dalle mafie – di Raffaele Cantone e Gianluca Di Feo. La recensione di Marco Imarisio, per Corriere della Sera

Ricordiamo che “Football Clan”, di Raffaele Cantone con Gianluca Di Feo (Rizzoli Editore), sarà in tutte le librerie a partire da mercoledì 10 ottobre 2012 (ndr)

 

I boss e il fascino del calcio tra affari e scommesse

Da Maradona a Balotelli, un saggio-inchiesta

 

“Nessuno ha voglia di sentirsi dire che la propria fidanzata è donna di facili costumi”.

Data la premessa d’obbligo, ne consegue che Football clan è opera coraggiosa in quanto potenzialmente indigesta, soprattutto ai tifosi con il paraocchi incorporato.

La fidanzata in questione è sua maestà il calcio, il Grande monopolizzatore delle nostre serate. Il libro di Raffaele Cantone e Gianluca Di Feo parla in buona sostanza dei rapporti tra mafia e pallone. Ma non è solo un garbato atto d’accusa a un sistema così indulgente con se stesso da chiudere sempre gli occhi davanti a contaminazioni sempre più evidenti. È anche una sorta di breviario, la storia di un fenomeno da non sottovalutare ricostruita con il gusto dell’aneddoto.

Football clan identifica il momento in cui cominciò la fascinazione della malavita per lo sport con gli atroci Mondiali del 1978 nell’Argentina dei generali. Dedica un lungo capitolo alla fenomenologia di Diego Armando Maradona, il campione che ha sdoganato l’abbraccio con la malavita. Si infila nella leggerezza incosciente degli idoli di oggi, dalla visita di Mario Balotelli a Scampia sotto braccio a personaggi che manco a Medellín, passando per le disinvolte amicizie di Fabio Cannavaro fino ad arrivare alla passione collettiva dei nostri eroi per le scommesse sportive. C’è ampio spazio per spregiudicate avventure imprenditoriali con capitali di dubbia provenienza, come quella tentata dal compianto Giorgio Chinaglia per riprendersi la sua Lazio, o l’incredibile scalata alla Roma e al Bologna da parte di fantomatiche cordate che facevano capo a Vinicio Fioranelli. La bozza di accordo per l’acquisto del club rossoblu comportava una clausola che trasudava dirittura morale: «Se il contratto non viene concluso, le pagine devono essere distrutte».

Ma è dalla periferia che si ha la visuale migliore sull’impero. Non ci sono soltanto nomi famosi in queste pagine, ma anche sconosciuti campi di provincia, storie minime che diventano esemplari. Sono i capitoli più belli del libro perché restituiscono la fragilità di un mondo e di chi lo abita, spiegano al meglio il fascino esercitato sulle mafie dal calcio, una terra promessa di ricchezza e potere. Nel nome della quale si può truffare, rubare, uccidere.

L’ultimo ingaggio del «Pampa» Sosa, vecchio attaccante finito in una Sanremese gestita da un clan di ‘ndrangheta, comincia con toni surreali alla Osvaldo Soriano per virare all’improvviso in tragedia, e da sola varrebbe il libro. La promozione in serie C del Crotone, comprata dai rivali del Locri in cambio di una fornitura di bazooka e kalashnikov, il sistemone inventato dalla camorra di Castellamare di Stabia: davanti a queste realtà, chi ha bisogno della fantasia?

Football clan ha il grande merito di non essere un libro scritto con il ditino alzato, ma con spirito costruttivo. Cantone e Di Feo, magistrato che tanti arresti addusse ai Casalesi il primo, giornalista nato al Corriere della Sera e attuale caporedattore a L’Espresso il secondo, sono entrambi innamorati della legalità e del calcio. La bella idea iniziale avrebbe potuto condurli nella sociologia e nel moralismo pesante. Loro invece si sono limitati a raccontare storie così vere da sembrare incredibili.

Hanno scelto la via leggera, costruendo un saggio che sembra un romanzo. E in questo modo sono riusciti a lanciare un credibile allarme su un sistema dagli anticorpi deboli, ma ancora in grado di svilupparli.

 

Marco Imarisio  – Corriere della Sera web, 7 ottobre 2012

Amministratori locali, minacciati dalle mafie. Il primo rapporto nazionale di Avviso Pubblico, presentato a Roma

Venerdì 2 dicembre 2011, presso la sede della Provincia di Roma, Palazzo Valentini, Sala della Pace, in via IV Novembre 119/A, alle ore 11.00 Avviso Pubblico presenterà il “Primo rapporto nazionale sugli amministratori locali minacciati dalle mafie”. Per questo importante e significativo momento saranno presenti: Nicola Zingaretti (Presidente della Provincia di Roma), il Dott. Raffaele Cantone (Magistrato presso la Corte di Cassazione); Agnese Moro (Figlia di Aldo Moro), Annamaria Torre (Figlia del Sindaco di Pagani (SA), Marcello Torre, ucciso dalla camorra nel 1980).

Un’iniziativa di grandissima importanza. Invitiamo tutti a partecipare.

“Meno leggi speciali, più fondi alla polizia” – Raffaele Cantone, ne “L’analisi”, su Il Mattino di Napoli, ed. naz. di mercoledì 19 ottobre 2011

Dopo i gravissimi episodi di vera e propria guerriglia di sabato a Roma si è aperto nel mondo politico un dibattito sulla necessità di un intervento legislativo per introdurre misure preventive contro il possibile ripetersi di violenze così eclatanti.
Si è proposto da parte di uno degli esponenti dell’opposizione, l’on. Di Pietro, di ripristinare la legge cosiddetta Reale e l’idea è stata sostanzialmente raccolta dal ministro dell’Interno Maroni, anche nell’intervento al Senato di ieri pomeriggio; in senso diverso si sono, però, espressi altri esponenti dell’opposizione ed anche il ministro della Giustizia, Palma.

Di Pietro ha anche precisato a quali misure pensa e cioè alla reintroduzione del fermo di polizia (e cioè del trattenimento provvisorio in caserma di soggetti non indiziati di reati ma sospettati di poterli commettere!), dell’arresto anche fuori flagranza, della previsione di ulteriori casi di giudizi per direttissima ed all’inasprimento delle pene per reati commessi durante manifestazioni.
Da parte di altri esponenti governativi si è parlato anche di estendere il cosiddetto DASPO (acronimo che indica il divieto di accedere a manifestazioni sportive) valido per i teppisti da stadio per impedire di partecipare alle manifestazioni coloro che in altre avevano tenuto comportamenti violenti.
Se è giusto attendere per fare una valutazione più precisa quando dalle parole si passerà ad un articolato legislativo, già in questa fase è legittimo esprimere un’idea sull’opportunità di un (ennesimo) intervento in materia di sicurezza.
Ed il giudizio è decisamente negativo, sia perchè preoccupa già il solo fatto di voler richiamare in vita una legge come quella Reale, una normativa emergenziale utilizzata nei peggiori anni dell’attacco terroristico e molto limitativa dei diritti di libertà individuale, sia perchè le leggi sull’onda dell’emergenza servono davvero a poco, se non a mandare messaggi rassicuranti ad una preoccupata opinione pubblica.
Ma per capire le ragioni della contrarietà bisogna partire dai fatti romani, perchè è su quelli che si può verificare la necessità di ulteriori disposizioni.
Per parlare di essi, però, sono necessarie due premesse che sgombrino il campo da possibili equivoci; fino a prova contraria resta ipotesi da dietrologi che gli scontri possano essere stati fomentati da infiltrati e/o provocatori esterni, anche legati alle istituzioni; essi, invece, paiono ascrivibili ad una frangia estrema di quel mondo genericamente indicato come “antagonista”; inoltre, va espresso senza titubanze massimo apprezzamento per l’operato delle forze dell’ordine presenti in strada; se fosse in mio potere consegnerei a tutti un’onorificenza per l’impegno profuso!
Ciò detto, però, restano non pochi dubbi sulla strategia utilizzata per far fronte ad incidenti a dir poco annunciati.

Ed in particolare, esprimendo le titubanze con alcune fra le domande che sorgono spontanee, ci si chiede, ad esempio, come sia possibile che proprio a piazza San Giovanni, epicentro della manifestazione, fossero presenti non molti uomini delle forze dell’ordine tanto da non aver impedito che un pò di delinquenti avesse il tempo di bruciare un blindato dei carabinieri?
E’ vero, quanto riportato in un’intervista di un poliziotto su alcuni quotidiani, che molte squadre erano formate da personale con età al di sopra dei 50 anni?
E come avrebbero potuto – come ammesso dallo stesso intervistato – costoro competere poprio sul piano fisico con ragazzi giovanissimi?
Se è vero che gli incidenti erano stati pianificati, e persino erano state nascoste armi in punti strategici del percorso della manifestazione, perchè non è stato controllato preventivamente il percorso?
Ed infine i due interrogativi più inquietanti: se, come pure sembra accertato, i teppisti erano andati “a scuola” dagli omologhi “colleghi” che operano in Val di Susa o in Grecia, perchè i nostri servizi di sicurezza non ne sapevano nulla?
E perchè, solo giorni dopo gli scontri sono state effettuate perquisizioni negli ambienti anarco-insurrezionalisti e non si è proceduto prima di sabato?
Le risposte possibili alle domande, alcune dal sapore chiaramente retorico, dimostrano chiaramente come non sia necessario introdurre norme eccezionali, fra l’altro di dubbia costituzionalità perchè limitative della libertà personale anche senza controllo giudiziario; non è, in sostanza, un problema di leggi, ma di bontà e capacità nella pianificazione delle attività preventive e soprattutto di necessità di acquisire tante informazioni sui movimenti antagonisti, utili al momento opportuno.
E c’è anche un ultimo aspetto ineludibile; è da giorni che le forze di polizia, anche loro manifestando per strada, esprimono la loro indignazione per i tagli di bilancio contenuti nelle norme di assestamento al bilancio (circa 60 milioni!); non ha senso alcuno, introdurre nuove norme quando mancano le risorse anche per le attività ordinarie.
Un sistema che stenta ad operare nella fisiologia non si trasforma certo – per magia – in superefficiente sol perchè viene emanata qualche nuova disposizione!
Del resto i precedenti non sono incoraggianti; leggi eccezionali e ultra restrittive, come quelle varate in materia di immigrazione, hanno dimostrato di essere utili forse sul piano della comunicazione, anche elettorale, ma non di essere affatto in grado di impedire l’arrivo della marea di migranti sulle coste italiane.  

4 settembre 1991 – 4 settembre 2011. Venti anni di Toga, per Raffaele Cantone. I nostri auguri, dal profondo del cuore!!!

Il 4 settembre 2011, noi di “Contro le mafie”, scorta civica del Dott. Raffaele Cantone, festeggiamo il nostro compleanno.
Una data scelta non “a caso”.
Il 4 settembre 1991, infatti, il Dott. Raffaele Cantone prestava giuramento da Magistrato.
Sono trascorsi venti anni, da quel giorno.
Raffaele Cantone, è per noi, l’Uomo-simbolo del contrasto concreto alle mafie; una lotta che non l’ha visto protagonista unicamente nelle aule d’udienza od in prima linea solo nel suo Ufficio presso la DDA.
E’ per noi, un Uomo grande e semplice; il continuatore dell’opera dei giudici Livatino, Falcone e Borsellino; ed è ai giovani, alle associazioni, agli studenti ed alla società civile tutta che si rivolge, nel suo continuo e deciso appello a portare la lotta per il contrasto alle illegalità ed alla camorra nei nostri comportamenti coerenti; a parlarne, confrontarsi, discuterne.
 
Che la conoscenza dei fenomeni, la cultura, la corretta informazione, rappresentano le basi, per contrastare quel consenso che ancora ruota, intorno alle mafie, alimentandole.
Perchè questa lotta non è solo “opera della magistratura e delle forze dell’ordine, ma c’è bisogno di noi tutti, di un cambiamento di mentalità che parta necessariamente dalla società civile” che disperda quel brodo di coltura fatto di omertà, complicità, collusione, affari sporchi e violenza, di cui si nutre la criminalità organizzata.
E’ per tutti questi motivi, che abbiamo pensato di festeggiare, questi “20 anni di Toga” del Dott. Cantone, oggi in servizio presso la Suprema Corte di Cassazione, sotto scorta da più di dieci anni, perchè minacciato dalla camorra di quel clan dei Casalesi del quale ha segnato il “fine pena mai”.
 
Facciamogli sentire il nostro sostegno ed il nostro affetto: chi da vicino, ad ogni incontro pubblico; chi da lontano, magari attraverso il suo blog: “La città delle regole” su ilmattino.it
AUGURI, DOTT. CANTONE, DAL PROFONDO DEL NOSTRO CUORE E… GRAZIE.
PER LA DEDIZIONE, L’EQUILIBRIO E LA PASSIONE CON LA QUALE AFFRONTA IL SUO LAVORO, PER LE SUE SCELTE, LA SUA GRANDE FORZA E TUTTI I SUOI INSEGNAMENTI.
GRAZIE, INFINITAMENTE, DA TUTTI NOI, CHE LA STRINGIAMO FORTE!!!!!! 🙂
 
 
 
 

“I costi dell’economia criminale”. Intervento di Raffaele Cantone, per l’iniziativa nazionale CGIL “Legalità economica: dal territorio all’impresa, un’altra idea di sviluppo”. Roma, 14 luglio 2011.

Credo che quel che possa fare il sindacato, i corpi intermedi, è molto più di quanto possano fare cento indagini dell’autorità giudiziaria, o delle forze di polizia a cui va il nostro ringraziamento quotidiano, ma è insufficiente.

Questo ruolo del sindacato che finalmente riscatta – me lo consenta il segretario Camusso – anche comportamenti soprattutto negli anni ’80 che paradossalmente finivano (involontariamente), per favorire la mafia.

Quante volte abbiamo visto in Sicilia negli anni ’80, all’inizio degli anni ’90, manifestazioni per il lavoro che venivano a contrastare per esempio i sequestri, le indagini, che venivano effettuate nei confronti dell’impresa? Perchè vi era un’idea diversa; un’idea oggi per fortuna superata: che il lavoro andasse tutelato in quanto tale e non che andasse tutelato il lavoro prodotto dell’impresa “pulita”. Questa “rivoluzione copernicana”, rappresenta una grandissima speranza per il futuro, pure perchè sono convinto – e lo dirò con le mie brevissime parole, che seguono lo stimolo che è stato dato dall’intervento precedente (molto bello, che ha spaziato su tutti i temi) – che se come dice questo documento, che spero sia diffuso il più possibile, “la Legalità rappresenta la condizione imprescindibile, per garantire al Paese tenuta democratica, convivenza civile e sviluppo economico”; se traduciamo in comportamenti concreti, questa affermazione di carattere generale, le speranze di un futuro “meno grigio” ci sono tutte.
E andiamo al tema della borghesia mafiosa; io credo che negli ultimi anni (e ovviamente non lo credo io, ma dagli esiti delle indagini giudiziarie), la mafia ha completamente cambiato pelle; la mafia ha cambiato il volto, quello di una volta; ha abbandonato la tradizionale mìse di “coppola e lupara”; si è sempre più trasformata (cominciando dalla Sicilia, dal dopo stragi), in una realtà che si occupava soprattutto di attività economiche; una realtà che sparava meno, che era molto meno “visibile”, soprattutto nei confronti delle forze dell’ordine e soprattutto una realtà che metteva al centro, lo svolgimento dell’attività imprenditoriale.
Credo che su un punto, bisogna essere “chiari”: è cambiato in modo nettissimo, il rapporto tra mafia e impresa; in passato, la semplificazione, che era comoda, manichea, delle imprese “buone” che erano vessate dalla mafia, e dei mafiosi “cattivi”, che chiedono il pizzo, era l’approccio più semplice, più “banale”: quello che consentiva di individuare nell’estorsore, nel soggetto che andava a raccogliere il denaro il “cattivo” della situazione. Il meccanismo è completamente cambiato; le mafie hanno rapporti di interrelazione con l’impresa che fanno sì che spesso sono le imprese a cercare i mafiosi; sono le imprese, ad usare i servizi dei mafiosi e sono felice di aver letto con forza, queste indicazioni che sono contenute nel documento della CGIL di cui si discute, indicazioni coraggiose, che ha raccolto sul nuovo rapporto mafia-impresa; oggi non è assurdo parlare di “mafia service”, di una mafia che è in grado di trovare soluzioni a 360 gradi, vere e proprie soluzioni “chiavi in mano”, agli imprenditori che vengono ad investire al sud e non solo al sud; riescono a garantire denaro semplice; pace sindacale nei cantieri; quote di penetrazione nei mercati, perchè la mafia non è più solo edilizia, ma soprattutto terziario, distribuzione; riescono a garantire che nei cantieri non verranno fatti furti, danneggiamenti e riescono a garantire meccanismi di introduzione nel sistema istituzionale, che consentono di superare le barriere; questa mafia ha completamente cambiato abito, è una mafia che si è imborghesita ed è in grado di essere rappresentata da nuovi volti.

Si citava l’episodio ultimo, avvenuto a Napoli (che ricorderò molto brevemente), perchè quell’episodio è la dimostrazione di una mafia completamente diversa; questo rappresentante imprenditoriale, titolare di una catena di ristoranti,  che frequenta gli ambienti della Napoli “che conta” (quando è stato arrestato era a Miami, con un campione del mondo del calcio, in vacanza), riesce ad interloquire con tutti i settori, ma dalle intercettazioni si comprende che è il principale investitore del denaro di un certo gruppo mafioso e la caratteristica – che è anche la novità, di questa indagine – è che si tratta di un investimento, sul piano della remuneratività, caratterizzato da un bassissimo vantaggio; la camorra investe grossissime cifre ottenendo un vantaggio non più del 4% annuo, che è una cifra assolutamente ridicola, sul piano della remuneratività, ma perchè le mafie hanno capito, che esistono settori, come ad esempio quello della ristorazione, dei servizi, nei quali  è assolutamente facile fare grossi guadagni con pochissimi rischi, soprattutto utilizzando questi “uomini cerniera” (dei quali noto con grande piacere si parli nella relazione), capaci di legare mondi diversi; soggetti capaci di interloquire con campioni del mondo del calcio, con esponenti delle Istituzioni ritenuti integerrimi ed esponenti della lotta alla mafia, soggetti che utilizzano la parola “Legalità” ogni giorno – mi sia consentito, Don Ciotti, di utilizzare quel che Lei afferma, cioè che non c’è parola più violentata e male utilizzata della parola Legalità  – e quanti di questi personaggi abusano di questa parola, pur essendo “uomini-cerniera”, tra ambienti diversi.

Questa borghesia mafiosa, nel breve periodo non fa danni all’economia, anzi, appare come un fattore di moltiplicazione dell’economia; un vero e proprio moltiplicatore del sistema delle relazioni economiche, e soprattutto in certi contesti; ovviamente, nel lungo periodo cambia tutto: le mafie operano con la logica della trimestrale di cassa; i mafiosi sanno che non hanno futuro e lavorano nell’ottica del guadagno immediato; anche se volessimo essere cinici e dire che gli investimenti mafiosi portano ricchezza, dovremmo sconfessarci, per la semplice ragione che i mafiosi non guardano al futuro, per i mafiosi c’è “tutto e subito” ed è un sistema che alla lunga, rischia di essere dannosissimo per le relazioni sociali, economiche e politico-istituzionali e rispetto al quale la reazione delle forze dell’ordine e della magistratura avviene quando il reato è commesso, con i tempi della giustizia italiana (che sono notoriamente lunghi); con la capacità di intervenire su fatti già avvenuti; con la difficoltà di dover individuare spesso, ipotesi di reato in questi comportamenti il cui colore è grigio, non è nè nero nè bianco e qui possono svolgere un ruolo fondamentale, i “corpi intermedi”: attraverso, a d esmpio, il meccanismo di stigmatizzazione delle mafie, la valutazione sociale in termini negativi, nei confronti di chi svolge questa attività; ma anche la richiesta forte di regole preventive: esiste la necessità assoluta di intervenire prima, attraverso quelle strutture sociali intermedie che possono fare  tantissimo.
Ho molto apprezzato, nell’intervento che mi ha preceduto, il riferimento agli ordini professionali; ma quanti architetti, avvocati, medici, ingegneri, condannati per mafia o che hanno avuto rapporti incestuosi con la mafia o che hanno fatto parte di cricche, continuano a stare al loro posto, a volte anche con cariche rilavanti, all’interno di quegli ordini professionali e quanto invece molto più fare anche un meccanismo di stigmatizzazione professionale, come quello messo in campo, ad esempio, da Confindustria Sicilia, che è un grande risultato perchè è il segnale della volontà di cambiare!

Allora, la borghesia mafiosa può essere vinta certamente con la repressione, ma può essere vinta con comportamenti che abbiano soprattutto un carattere: quello della coerenza.
Siamo tutti bravi, a dire parole; siamo un pò meno bravi tutti a coniugare a quelle parole, comportamenti coerenti sul piano dei fatti.

L’INTERVENTO DEL DOTT. CANTONE IN VIDEO, SU YOUTUBE (CANALE CGIL): https://www.youtube.com/watch?v=l9eAhovAXpw

TUTTI GLI INTERVENTI DELLA  TAVOLA ROTONDA (CGIL TV): http://www.cgil.it/dettagliodocumento.aspx?ID=16905

Si parla di contrasto alla criminalità economica, a Roma, giovedì 14 luglio 2011. Raffaele Cantone, tra gli esperti relatori, a Palazzo Valentini.

Si parla di Legalità e lavoro nero, nell’iniziativa nazionale promossa dalla CGIL, che si terrà a Roma, giovedì 14 luglio, presso la Sala della Provincia a Palazzo Valentini.

I lavori si apriranno alle 9.30 e proseguiranno fino alla conclusione, prevista per le 17 (con pausa pranzo dalle 13.30 alle 14.15).

Alle 10.30, a discutere di “Legalità economica: dal territorio all’impresa, un’altra idea di sviluppo”, durante la prevista Tavola Rotonda, saranno: Susanna Camusso, Segretario Generale CGIL; Raffaele Cantone,  Magistrato; Don Luigi Ciotti, Presidente Nazionale di Libera; Ivanhoe Lo Bello, Presidente Confindustria Sicilia; Giuliano Pisapia, Sindaco di Milano.

 

“Con questa campagna – spiega Serena Sorrentino, Segretaria Confederale della CGIL con delega ai problemi del Mezzogiorno– la CGIL vuole al contempo lanciare una stagione di contrattazione sulla legalità e lanciare un allarme sul tema che nella crisi i modelli e i settori di produzione non avendo risposte in termini di politica economica e di politica industriale sono stati esposti al rischio di contaminazione da parte delle economie criminali ed illegali”. Oggi circa un terzo dell’intera economia italiana è nelle mani delle mafie. E la crisi in corso sta peggiorando la situazione: si drenano risorse dai settori economici e finanziari legali a quelli criminali.

Le mafie siedono al tavolo dell’Economia.
Sono quelle degli affari, che parlano la lingua dei brokers, che tessono relazioni con il mondo dell’imprenditoria.
Che riciclano.
I mafiosi, oggi, si chiamano “Gattopardi”.

E’ tempo di agire.

“Una notte per Giovanni Falcone” – Mercoledì 18 maggio 2011, ore 20.30, Circolo degli Artisti, Roma.

Mercoledì 18 Maggio, alle ore 20.30, presso il Circolo degli Artisti in via Casilina Vecchia n. 42 a Roma, si terrà una serata in ricordo del giudice ucciso dalla Mafia nella strage di Capaci. Infatti, proprio il 18 Maggio Giovanni Falcone avrebbe compiuto 72 anni, ed è con una serata in suo onore che un gruppo di studenti romani vuole ricordarlo. 

L’iniziativa consisterà in un reading di alcuni estratti della sua biografia “Storia di Giovanni Falcone”, nella proiezione di alcuni video sulle stragi del ’92 e del ’93 e sarà arricchita dagli interventi di illustri ospiti come il giudice Raffaele Cantone autore del libro “I gattopardi. Uomini d’onore e colletti bianchi: la metamorfosi delle mafie nell’Italia di oggi” dal quale verranno letti alcuni estratti, la scrittrice Petra Reski che parlerà del suo nuovo libro “Sulla strada per Corleone” (che uscirà nelle librerie proprio il 18) e Antonio Turri di Libera Lazio.
“Abbiamo il dovere di rendere omaggio a Giovanni Falcone e a tutte le persone morte per essersi opposte alla criminalità organizzata” spiegano gli organizzatori, che affermano “con questa serata parleremo della mafia ai tempi delle Stragi, ma anche della mafia di oggi e delle organizzazioni malavitose presenti nel Lazio, la così detta Quinta Mafia, per sottolineare come le mafie operino indisturbate su tutto il territorio nazionale”.
La serata, che verrà condotta da Francesca Fornario, vignettista de L’Unità, si aprirà con un aperitivo e una mostra fotografica per fare il punto della situazione in cui versa L’Aquila oggi, a più di due anni dal terremoto.
L’iniziativa è organizzata in stretta collaborazione con Libera, daSud onlus, Rete Viola Roma, Movimento Agende Rosse,  La Fabbrica di Nichi Roma, Comitato aquilano 3e32, Gioventù Attiva.

Per info:

338.6426502
339.4025292
Coordinamento Roma Antimafia

(fonte: www.antimafiaduemila.com)

NOI DI “CONTRO LE MAFIE”, RINGRAZIAMO IL NOSTRO AMICO GIANLUCA PALMA, TRA GLI ORGANIZZATORI DELL’EVENTO, PER LA DISPONIBILITA’ E LE COMUNICAZIONI, IN RELAZIONE A QUESTA STRAORDINARIA OCCASIONE DI RIFLESSIONE E DI INCONTRO, SOTTO IL SEGNO DI GIOVANNI FALCONE).

“La dignità rubata”. Raffaele Cantone, intervistato da Francesco Anfossi, per Famiglia Cristiana.

<<C’è un solo peccato. Uno solo. Il furto. Ogni altro peccato può essere ricondotto al furto. Se uccidi un uomo, gli rubi la vita. Rubi il diritto di sua moglie ad avere un marito, derubi i suoi figli del padre. Se dici una bugia a qualcuno, gli rubi il diritto alla verità. Se imbrogli, quello alla lealtà>>.


Ragionando del settimo Comandamento in un Caffè romano dietro al Palazzaccio con Raffaele Cantone, magistrato anticamorra, vengono in mente le parole del padre di Amir, nel romanzo Il cacciatore di aquiloni.
In questo senso, la madre di tutti i predoni, la Grande Ladra, è la criminalità organizzata, nemica giurata di questo giudice coraggioso di 47 anni che ha contribuito a sconfiggere il clan dei Casalesi.
<<La Camorra>>, spiega Cantone, <<svolge un’attività di depredazione devastante dell’economia imponendo tangenti al sistema delle imprese. Non ruba solo attraverso i furti e le rapine.
Pensiamo al pizzo. Pensiamo ai rifiuti tossici. Sversando liquami velenosi nella nostra terra danneggia e ammorba l’ambiente dei cittadini.
E guastandolo ruba anche il futuro, depreda i diritti e la libertà della gente, spesso con la complicità di chi dovrebbe controllare, e invece non controlla, facendo parte delle Istituzioni. Ti toglie tutto, anche la dignità>>.
Per Cantone, che attualmente lavora al Massimario della Cassazione ed è autore di due libri di successo (Solo per Giustizia e I Gattopardi, Mondadori), l’ottica con cui si guarda a questo reato è cambiata negli ultimi anni.
<<Rispetto al Comandamento “Non rubare”, c’è un diverso approccio. Il primo è quello tradizionale, per il quale è rimasta l’identica stigmatizzazione sociale: è un reato infamante, relegato agli strati più bassi della società>>.

Chi ruba è ai margini della società?
<<In genere sì, a parte il furto in abitazione, che di solito è commesso da professionisti del crimine. Però appartiene anche alla sfera sociale di chi lo fa per necessità. Il taccheggio nei supermercati è aumentato in maniera esponenziale in soggetti lontani anni luce dalla tipologia del ladro. Povera gente, disoccupati, pensionati che nascondano nel cappotto la busta di prosciutto. Furti che sembravano scomparsi dalla tipologia criminale>>.

Qual è l’altro approccio?
<<La diversa stigmatizzazione sociale per meccanismi di depredazione di beni pubblici che non sono soltanto ritenuti meno riprovevoli, ma quasi compresi, addirittura approvati, perché da molti ritenuti espressione di intelligenza e scaltrezza>>.

Insomma, quando si tratta di depredare i beni pubblici, scatta l’applauso, quasi si trattasse di Arsenio Lupin…
<<Sì, ed è una cosa grave se pensiamo che depredare i beni pubblici, compreso il mancato pagamento delle tasse, è un furto per l’intera comunità>>.

I furti dei colletti bianchi sono più gravi?
<<Lo sono moralmente e giuridicamente. E infatti, alcuni di questi reati sono puniti in maniera grave. Ma non il falso in bilancio e l’evasione fiscale, ritenuti dal codice in alcuni casi persino solo illeciti amministrativi. Anche il reato di appropriazione indebita, con cui si puniscono i furti degli amministratori nei confronti delle società commerciali da loro gestite, è punito molto meno del furto, eppure può essere in molti casi più grave, per il danno che fa all’impresa e all’economia in generale>>.

E l’opinione pubblica è meno severa…
<<C’è in qualche modo una tendenza a ritenere meno grave il comportamento di soggetti che non sono criminali incalliti. Il legislatore ha inasprito la disciplina del furto tradizionale (furto con scasso, furto in abitazione), ma questo inasprimento non ha trovato una corrispondenza simmetrica con i reati di appropriazione della cosa pubblica, a parte il peculato, che è punito gravemente. Per non parlare di chi non rispetta il fisco. In America, l’evasione fiscale, che è un’elusione rispetto ai propri obblighi, è reato. Al Capone non sarebbe mai stato arrestato se non ci fosse stato il reato di evasione fiscale>>.   

(Francesco Anfossi intervista Raffaele Cantone per Famiglia Cristiana, sul numero 16 anno LXXXI. Foto di Alessia Giuliani/CPP).