“Regolarizzare è un delitto” – Raffaele Cantone, su Il Mattino di Napoli, ed. naz. di domenica 11 agosto 2013

La proposta di regolarizzazione delle occupazioni abusive degli alloggi popolari, avanzata alcuni giorni orsono da un assessore comunale di Napoli (e per il momento accantonata), ha riaperto un dibattito su una questione particolarmente calda in città.
Il tema sembra poi essersi arricchito di nuovi spunti di riflessione, dopo che Il Mattino, con documentati servizi, ha dimostrato come in non pochi casi di occupazioni abusive vi sia stato un intervento diretto dei gruppi camorristici.
Si tratta, invero, di un fatto notorio già emerso nei quartieri in cui insistono alloggi popolari. I clan, infatti, hanno una pluralità di “ragioni” per occuparsi del fenomeno.
Il boss del quartiere ha, in primo luogo, interesse a scegliersi i “vicini” fra i soggetti a lui non ostili; attraverso, poi, la gestione di fatto delle case aumenta il suo prestigio e potere nel quartiere, ottenendo gratitudine e disponibilità di coloro a cui le abitazioni sono “concesse”. Sono poi gli stessi camorristi che finiscono per proteggere gli occupanti abusivi anche contro le legittime aspirazioni degli assegnatari legittimi; essi sono, infatti, in grado di utilizzare argomenti decisamente convincenti per scoraggiare chi volesse far valere i propri diritti.
Basterebbe questa acclarata e massiccia infiltrazione criminale fra gli occupanti abusivi a chiudere ogni discussione e a giustificare una posizione di nettissima contrarietà ad ogni forma di sanatoria; essa finirebbe, suo malgrado, per recepire le “graduatorie” della camorra, non essendo possibile, con tutte le accortezze tecniche immaginabili, sterilizzare un rischio così grave.
Ma seppure volessimo prescindere dal “fattore C” – anche per evitare che la camorra diventi un alibi per opporsi ai cambiamenti – la regolarizzazione comunque sarebbe un errore da stigmatizzare.
Essa finirebbe per essere – e lo dico senza timore di esagerare – grave quanto (o persino peggiore de) i condoni edilizi e fiscali.
La sanatoria in questione consentirebbe, infatti, come i condoni, di legalizzare ciò che è stato acquisito (o costruito o evaso etc) in modo irregolare, spesso attraverso atti di prepotenza che, non si dimentichi, costituiscono anche reato; con un danno di carattere generale soprattutto per i cittadini onesti che vedono premiati coloro che non hanno rispettato le regole e con il rischio di incentivare nuove violazioni, nella prospettiva di possibili ulteriori regolarizzazioni.

ph. da Repubblica

ph. da Repubblica

A questi effetti negativi, tipici di ogni forma di sanatoria, nel caso di specie se ne aggiunge un altro specifico; l’espropriazione dei diritti dei veri assegnatari degli immobili da altri occupati.
Legittimare le occupazioni abusive sarebbe, infine, un danno molto grave per l’immagine di una città che fatica a liberarsi dallo stereotipo di capitale dell’illegalità e non sarebbe coerente con quanto l’amministrazione dichiara di continuo in tema di rispetto della legalità.
C’è sicuramente – e sarebbe da ciechi negarlo – nella proposta di delibera comunale un obiettivo meritorio; fra gli occupanti abusivi ci sono persone che hanno situazioni di gravissima necessità e che hanno violato le regole perché costretti da indigenza e difficoltà abitative insuperabili. Sono soggetti oggettivamente deboli che vanno in qualche modo aiutati. Del resto, persino la Cassazione penale considera posizioni di disagio grave ed accertato come scriminanti del delitto di occupazione abusiva!
Queste situazioni – da accertarsi con uno screening molto rigoroso – non potranno certo consentire di mantenere ciò che è stato acquisito, comunque, in modo oggettivamente illegale. Dopo il ripristino della legalità – che significa consentire ai legittimi assegnatari di poter avere la casa di cui hanno titolo! – si potrà garantire a queste famiglie bisognose di non essere escluse dalle future assegnazioni, come il loro gesto irregolare imporrebbe, e di avere anche una qualche priorità.
L’unico faro da seguire, quindi, non può che essere l’assoluto e rigoroso rispetto delle regole; le deroghe e gli stravolgimenti di esse, per quanto possano apparire giustificate anche da nobili ragioni, rischiano di aprire varchi (se non autostrade) ad ogni genere di future illegalità; di buone intenzioni – è noto, del resto – è lastricata la strada per l’inferno.

“Napoli, il Far West dei ragazzini killer” – Raffaele Cantone, su Il Mattino di Napoli, ed. naz. di domenica 7 luglio 2013

Il reportage di Giuseppe Crimaldi, contenuto nelle pagine di cronaca, riporta un episodio che dovrebbe far sobbalzare dalla sedia i cittadini non solo napoletani.
un commando di sei killer, partiti dai Quartieri spagnoli, si reca con tre moto potenti, i cui occupanti sono travisati da mephisto neri, a Ponticelli, a casa di un soggetto considerato un emergente del gruppo camorristico.
Il bersaglio forse si avvede dell’imminente agguato e scappa; i killer non vogliono tornare indietro a “mani vuote”; trasformano la spedizione di morte in atto intimidatorio di cui deve restare il segno; esplodono una vera pioggia di fuoco contro la finestra dell’abitazione in cui ci sono la moglie e la figlioletta di otto mesi del bersaglio sfuggito, e per miracolo non vengono colpiti. Poi si allontanano, come in una scena da film western, con le pistole in bella mostra, con le canne rivolte verso il cielo, a voler dimostrare il controllo totale del territorio. Due dei killer, però, vengono intercettati da una coraggiosa pattuglia di carabinieri in borghese.

Fonte: ilmattino.it

Fonte: ilmattino.it

I tre militari che la compongono conoscono Napoli a menadito e difficilmente restano sorpresi dalle scene che quotidianamente vedono; eppure ieri saranno rimasti di sasso a scoprire sotto i mephisto, il volto di due ragazzini; avevano 16 anni, da poco compiuti. Non avranno potuto fare a meno di pensare, come nel giro di controllo fatto da altri colleghi o da loro stessi poco prima, nei quartieri della movida o sul lungomare, i coetanei dei due ragazzi da loro arrestati stavano divertendosi, in meritata vacanza, probabilmente dopo la fine della scuola. Gli arrestati, invece, avevano scelto una serata diversa; un’attività altamente pericolosa, come recarsi in un quartiere tutt’altro che tranquillo per ammazzare un soggetto certamente in grado di difendersi con mezzi analoghi. Lo avranno fatto di certo, esaltati ed obnubilati dagli stupefacenti, quasi certamente della cocaina.
Non ci sarebbe da meravigliarsi, se nel prosieguo delle indagini gli inquirenti scopriranno che anche gli altri quattro componenti della spedizione di morte, fossero di età più o meno analoga. Non è difficile pronosticare chi sono i due ragazzi; probabile abbandono scolastico precoce; precedenti penali per reati contro il patrimonio; famiglie disastrate ed inserite nell’ambiente criminale; un destino, insomma, quasi segnato.
Ma questo tentativo di spiegazione non può far venir meno l’enormità della vicenda; due ragazzini, già esperti (baby) killer, utilizzati chissà da chi per andare ad ammazzare; che partecipano ad una sparatoria, con armi potentissime, che per poco non provoca la morte di una neonata di 8 mesi, che ha la sola colpa di essere la figlia di un altro poco di buono!
Ma il punto vero è un altro; quanti davvero sobbalzeranno dalla famosa sedia, leggendo l’articolo di Crimaldi? Sono pessimista a pensare pochissimi?
L’episodio sarà archiviato come un’altra “breve di cronaca”, di cui domani ci si sarà dimenticati e che di essa fuori Napoli nessuno conoscerà nemmeno. eppure il coinvolgimento criminale di giovanissimi non è affatto un’eccezione, che non sminuirebbe né la gravità, né la drammaticità. Sta diventando, invece, una tragica regola, della quale ci siamo abituati in fretta e disinteressati con uguale velocità!
Come non pensare ai tantissimi ragazzi, persino più piccoli di quelli arrestati ieri, pienamente coinvolti nell’attività di spaccio non solo a Scampia, ma anche nelle altre piazze meno famose, ma non meno fiorenti come il Parco Verde di Caivano o le Salicelle di Afragola?
Su questo giornale già in altre occasioni, si è ricordato come i quadri (o persino i vertici) di molti clan cittadini siano ormai occupati da giovani poco più che ventenni, noti per soprannomi da ragazzini imbarazzanti per chi vuole atteggiarsi a camorrista. Ragazzi molto in fretta cresciuti anche dal punto di vista criminale che hanno approfittato dei vuoti di potere, creatisi per gli arresti dei vecchi boss e che grazie alla loro carica di violenza si sono imposti in piazze criminali dove i loro predecessori avevano un ben cospicuo pedigree delinquenziale.
E quanti ragazzi, poco più che maggiorenni sono già morti, vittime di faide criminali, o sepolti in carcere da condanne lunghissime, in qualche caso persino ergastoli?

Girarsi dall’altro lato rispetto a questa enormità, sta diventando un atteggiamento che – bisogna dire con chiarezza – è ormai di vera connivenza.
Se pensiamo che un’intera fascia sociale debba distruggere ed autodistruggersi, ha davvero senso parlare di lotta alle mafie, andare con striscioni alle manifestazioni e mettersi bei distintivi sulle giacche?

“I ritardi e l’alibi camorra” – Raffaele Cantone, su Il Mattino di Napoli, ed. naz. domenica 23 giugno 2013

Per molto tempo osservatori, soprattutto esterni, della realtà napoletana hanno individuato quale responsabile dell’emergenza rifiuti la camorra. Sarebbero stati i clan che, speculando, avrebbero impedito il passaggio a un ciclo virtuoso. E a questa lettura si sono, in qualche caso, omologati anche intellettuali e politici locali, più o meno (fintamente) disattenti.
Del resto, individuare nella camorra il responsabile può servire (strumentalmente?) per dare copertura e giustificazione ad omissioni ed inattività.
Il deferimento della Commissione Ue, avanzato in questi giorni, con l’aggravante della recidiva, che porterà l’Italia davanti alla Corte Ue e ad una condanna inevitabile ci si augura possa almeno avere un effetto benefico; evitare per il futuro il ricorso a falsi alibi e a comodi capri espiatori.

emergenza-rifiuti-napoliRicapitoliamo brevemente i fatti; nel 2010, con la sentenza n. 297-08, la Corte europea stabilì, con riferimento alla drammatica emergenza degli anni precedenti, che in Campania non erano state adottate tutte le misure necessarie per assicurare che i rifiuti fossero recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza pregiudizio all’ambiente; si sanzionò, in pratica, con la condanna del nostro Paese l’assoluta incapacità di organizzare un ciclo completo dei rifiuti.
Negli anni successivi, pur essendo in apparenza la situazione tornata alla normalità, la Commissione Ue tornò alla carica ed aprì una nuova procedura di infrazione, stabilendo che in Campania il ciclo dei rifiuti non era affatto virtuoso e che l’emergenza era solo in apparenza cessata, grazie ad una soluzione tampone e cioè i viaggi all’estero di navi stracariche di monnezza; fissò un termine non breve per trovare una soluzione e per adottare un ciclo che fosse rispettoso delle direttive comunitarie.
Nel gennaio 2012 il ministero dell’Ambiente, la Regione, la Provincia ed il Comune predisposero un piano (l’ennesimo della serie!) che inviarono all’Unione europea che avrebbe dovuto evitare l’odierno deferimento. Non c’era bisogno di essere un esperto per sapere fosse un illusorio palliativo e furono in molti a dirlo da subito, fra cui anche il sottoscritto proprio su questo giornale. Esso peccava di ottimismo sulla possibilità di ampliare la differenziata, aprire impianti di compostaggio e di reperire siti per predisporre nuove discariche (di queste ultime ne erano previste persino sei, lì dove per anni era stata difficile trovarne una!); conteneva pericolose ambiguità (la parola discarica veniva ipocritamente evitata e celata dietro quella di “operazioni di ricomposizione ambientale”) ed evidenti contraddizioni (si faceva riferimento alla necessità del termovalorizzatore in città, malgrado il sindaco di Napoli avesse più volte dichiarato che mai l’avrebbe accettato).
Da quel momento, quel piano inviato a Bruxelles è rimasto solo sulla carta, forse credendo che l’Europa si sarebbe accontentata di qualche generica promessa o avrebbe creduto alle affermazioni trionfalistiche di chi magnificava gli eccezionali e progressivi risultati ottenuti. Nessuno più si preoccupava davvero delle percentuali di differenziata raggiunte in provincia di Napoli, lontane anni luce a quelle promesse e vagheggiate in più occasioni! Ed inevitabile a fare chiarezza è arrivata la censura Ue, organismo che controlla i fatti e non tiene in conto alcuno le promesse da marinaio.
Con il deferimento si addossano da subito all’Italia quasi 20 milioni di euro di multa, ma si prefigura una multa ancora più salata subito dopo la sentenza, commisurata ai giorni in cui si protrarrà l’inosservanza, che rischia di costare parecchi milioni di euro.
Come avvenne per il famoso furto di Santa Chiara, adesso si comprano altre porte di ferro e cioè si predispone un altro piano, dando per scontato che quello precedente era solo una finzione; si nominano altri commissari per i termovalorizzatori e ritornano, quasi echi lontani, le parole su percentuali della differenziata da Svezia o Danimarca.
Domanda: ma in tutto questo periodo, è stata la camorra ad impedire di avviare il ciclo? Ci sono state minacce o intimidazioni per evitare che si aprissero siti di compostaggio o si cominciassero i lavori per i termovalorizzatori (ce ne volevano secondo il piano del 2012, ben 4!!)? Sono stati i clan, che hanno reso impossibile un ciclo della differenziata decente? Sono quesiti che non meritano nemmeno risposta, visto quanto è scontata. Le omissioni, però, non sono indolori; costeranno alla comunità (quindi a tutti i cittadini, campani e non) un esborso economico pesante del quale è giusto individuare i responsabili.

C’è materia evidentemente per la Corte dei Conti, una magistratura che negli ultimi anni ha dimostrato di essere attenta ed attiva sul fronte del recupero degli sprechi. I giudici contabili potranno, partendo dalla normativa nazionale e da quella purtroppo pessima regionale, verificare chi non ha fatto e che cosa non è stato attuato, senza consentire comodi scaricabarile. E se, come ci si augura, questo accadrà, un risultato è già sicuro; un unico soggetto non uscirà condannato, e si tratta proprio di quell’entità che responsabilità di incommensurabili mali per il nostro territorio, ma a cui non bisogna addossarne anche altre che non ha! 

“La violenza dei padri, la condanna dei figli” – Raffaele Cantone su Il Mattino di Napoli, ed. naz. di martedì 9 aprile 2013

Non è ancora chiaro il movente né lo svolgimento della rissa in cui ha perso la vita un ragazzo di 14 anni.

fiaccolata_aversa_cinqueLe prime notizie indicano il deceduto ed i feriti come imparentati ed esponenti di primo piano del clan dei casalesi, sodalizio da sempre egemone nella zona; il padre del feritore sarebbe anche lui gravato da precedenti minori e, particolare interessante, il ragazzo sarebbe giunto sul luogo, malgrado sprovvisto di patente, a bordo di un’auto. Ieri, il Procuratore aggiunto, coordinatore della DDA di Napoli, Cafiero de Raho, uno dei maggiori conoscitori della realtà criminale, di recente promosso con pienissimo merito a capo di una delle Procure più importanti d’Italia, Reggio Calabria, nel corso di un intervento ad un convegno ha affermato che a Napoli e Caserta i clan camorristici sono in rotta.
E che in molte zone è persino possibile considerarli sconfitti. Cosa c’entrano un fatto gravissimo di cronaca nera e una dichiarazione di speranza di uno stimatissimo magistrato? In apparenza niente, ma il collegamento esiste, eccome.
Partiamo dalla dichiarazione di Cafiero; la sua analisi è, come al solito, lucida e pienamente condivisibile; negli ultimi anni sono stati sferrati alla criminalità camorristica colpi durissimi; molti clan (non tutti, in verità) hanno subito arresti dei capi ed affiliati e sequestri milionari di beni.
Tutti i latitanti più importanti sono stati assicurati alla giustizia e la loro prospettiva di recuperare la libertà è pari sostanzialmente a zero; resteranno detenuti per sempre o per tantissimo tempo. Molti clan, quali i ritenuti invincibili casalesi ad esempio, sono stati quasi rasi al suolo; arrestati tutti i componenti dell’ala militare, fino alle ultime fila. Sconfitti? Certamente sì!
Ma se cercassimo di riproporre la domanda in altro modo, la risposta sembrerebbe contraddittoria; lo Stato ha vinto? Io risponderei, con amarezza: no!
E qui ritorniamo all’episodio di cronaca nera; l’eliminazione degli affiliati e dei gregari non ha comportato il recupero degli spazi lasciati vuoti a favore da parte delle Istituzioni. Se qualcuno ne vuole la riprova, chiedesse agli abitanti di molte zone “liberate” se sentono essere venuto meno il gioco criminale e la risposta sarebbe, nel novanta per cento dei casi, “no”!
I vuoti di potere criminale sono stati occupati da giovanissimi, molto violenti e spregiudicati, spesso assuntori di cocaina, che scimmiottano i codici d’onore dei loro predecessori, di cui vantano parentele vere o presunte e che vogliono imporre il loro potere con la forza; vantano un unico carisma: la violenza bruta ed incontrollabile.
Mi guarderei bene dall’ascrivere l’episodio di Aversa a dinamiche “neocamorristiche”; saranno le indagini che stabiliranno l’accaduto ed i ragazzi coinvolti, per la loro giovane età, meritano soltanto vicinanza ed eventualmente compassione.
Ma essi, come i giovanissimi di Scampia che si allenano per comandare le ricchissime piazze di spaccio, hanno ereditato un brodo di coltura nel quale certe mentalità e certe logiche paramafiose possono attecchire facilmente.
La repressione ha fatto benissimo la sua parte; i magistrati e gli uomini delle forze dell’ordine hanno ottenuto risultati che non è esagerato definire eccezionali, ma cosa hanno le altre istituzioni per evitare che sui terreni rinascessero le male piante?
Pochissimo, per non dire niente; le agenzie educative di ogni tipo che avrebbero dovuto operare sui territori difficili ed avrebbero dovuto gettare i semi della rinascita dove sono e se ci sono cosa hanno fatto? Sul pano della prevenzione, tranne l’impegno di qualche associazione di volontariato operante con enormi difficoltà e senza aiuto, c’è pochissimo da segnalare.
Eppure da anni i tanti conoscitori del territorio avvertivano, inascoltate cassandre, che il semplice intervento sul piano penale e criminale non sarebbe bastato.
Episodi come quelli di Aversa non possono e non devono essere archiviati come i “soliti” incidenti della movida violenta; sono probabilmente tutt’altro; un campanello d’allarme che, si spera, non resterà ancora una volta inascoltato.

“Primo, ripulire i partiti” – Raffaele Cantone, su l’Espresso – 13 febbraio 2013

A vent’annni da Mani pulite e un iter parlamentare irto di ostacoli, nel novembre del 2012 è stata finalmente varata la legge ribattezzata “anticorruzione”.

Si tratta, in verità, dell’adempimento di un dovere assunto in sede di ratifica di varie convenzioni internazionali ma la legge va ascritta a merito del governo Monti e soprattutto alla caparbietà dei ministri della Funzione pubblica Patroni Griffi e della Giustizia Severino, che sono riusciti a trovare la quadra fra le posizioni distantissime dei partiti della “strana maggioranza”, anche se questa estenuante mediazione ha inciso sulla bontà del testo approvato. La riforma quindi deve considerarsi solo il primo passo di una serie di interventi ulteriori ed indispensabili, di cui dovrà farsi carico il prossimo Parlamento e governo.

Anzitutto, è necessario che vengano rapidamente resi operativi gli organismi e i meccanismi introdotti con questa legge. La nuova autorità nazionale anticorruzione; il piano anticorruzione di cui ogni amministrazione deve dotarsi, nominando un responsabile, che può essere chiamato a rispondere sul piano disciplinare delle inosservanze; gli obblighi di trasparenza e pubblicità per le attività amministrative; i vincoli per il passaggio di pubblici ufficiali nelle aziende privare.

Raffaele Cantone (Ilaria Ascione ph. per wrongradio.com)

Raffaele Cantone
(Ilaria Ascione ph. per wrongradio.com)

In questa fase, è indispensabile evitare che i tanti adempimenti richiesti alle amministrazioni centrali e territoriali non si trasformino in inutili e gravosi oneri burocratici. Troppi “piani” sono stati chiesti agli enti negli ultimi anni senza che nessuno si curasse di verificarne l’utilità concreta.

Del resto è ancora necessaria l’emanazione di altri decreti attuativi, ma forse da subito andrebbe rivista e migliorata anche la normativa adottata di fretta dall’attuale governo sulle incandidabilità. Le scelte dei partiti in campagna elettorale e il caos che si è verificato per alcune esclusioni di “impresentabili” dimostrano che non si è ancora del tutto maturi per valutazioni squisitamente etiche da lasciare ai partiti.

Bisogna avere il coraggio di adottare norme più restrittive che escludano la candidabilità per qualunque carica (locale o nazionale che sia) per i rinviati a giudizio per reati di mafia e per i condannati anche in primo grado per i reati contro la pubblica amministrazione.

In questa prospettiva, visto il legame forte che c’è soprattutto in certi contesti territoriali fra mafie e corruzione, andrebbe anche resa più stringente la normativa sulle infiltrazioni mafiose negli enti locali. Bisognerebbe ampliare i casi in cui viene negata agli amministratori coinvolti negli scioglimenti la possibilità di candidarsi. E consentire lo scioglimento per mana delle società miste o partecipate e, perché no, anche dei consigli regionali.

Sempre nell’ortica della prevenzione (e alla luce di quanto sta emergendo dalle indagini sulle distrazioni dei fondi pubblici destinati non solo ai partiti) sarebbe opportuno imporre la massima pubblicità per i contributi di qualsivoglia genere erogati dalle amministrazioni e il dovere di rendiconto per chi li ha ricevuti. Con l’obbligo di richiedere la restituzione nel caso in cui non siano utilizzati per gli scopi prefissi e con la possibilità del controllo esterno della Corte dei conti.

È arrivato il momento di adottare una legge che regoli la vita interna dei partiti, anche in ossequio a quanto previsto dall’articolo 49 della Costituzione, introducendo come obbligatorio il metodo democratico interno ed imponendo criteri di trasparenza per la redazione dei bilanci e l’obbligo di indicare tutti i contributi pubblici e privati. Per renderlo più incisivo, sarebbe persino auspicabile che particolari responsabilità gravassero su chi gestisce le casse dei partiti: porrebbero essere considerati pubblici ufficiali e quindi assoggettati alle stesse regole che valgono per il ragioniere capo di un qualsiasi ente. In entrambi i casi si maneggia denaro pubblico e quindi andrebbe richiesto il medesimo dovere di fedeltà.

Regole analoghe andrebbero estese alle fondazioni o associazioni di carattere politico che negli ultimi anni si sono moltiplicate, sostituendo spesso le vecchie correnti e spostando fuori dai partiti anche alcune attività tipiche degli stessi. In una democrazia della trasparenza è necessario che si sappia chi sono i finanziatori di queste strutture e come vengono spesi i denari che a loro giungono, per evitare conflitti di interessi ed un esercizio lobbistico del potere politico.

A proposito di lobby, bisogna mettersi in linea con gli altri Paesi occidentali; le lobby che agiscono in trasparenza non sono un male per la democrazia, ma solo se ci sono regole chiare, conoscendo chi opera e per conto di chi. Il rischio da evitare è che certi lobbisti, scoperti dalle indagini giudiziarie degli ultimi anni, diventino di fatto i veri titolari dei poteri decisori in molte branche dell’amministrazione.

Gli enti pubblici, soprattutto quelli territoriali, dovrebbero limitare (se non del tutto dismettere) le attività imprenditoriali.

Quanto è emerso sul malaffare delle società create da Comuni e Regioni o ancora più di recente con le fondazioni bancarie controllate dai medesimi enti dimostra i rischi di distorsioni. Gli enti pubblici si limitino a svolgere funzioni soprattutto di controllo, senza sovrapposizioni fra controllori e controllati! Anche per questo, non si può più rinviare il varo di una disciplina vera sul conflitto di interessi che prescinda dalle polemiche, spesso strumentali, che hanno riguardato l’onorevole Berlusconi: oggi ci sono nel rapporto pubblico-privato tantissime ipotesi di conflitto di interessi che minano l’imparzialità delle istituzioni. 

Molto resta da fare anche sul piano della repressione penale. Tra le ultime norme approvate vanno subito riviste quelle sul traffico di influenze, che punisce chi sfrutta le relazioni con un pubblico ufficiale per ottenere vantaggi (la cui pena non permette l’arresto né le intercettazioni ed è quindi poco efficace) e quella sulla corruzione fra privati, che di fatto non consente di stroncare le mazzette pagate ai dirigenti delle società private, per ottenere commesse o appalti.

Gran parte degli organismi internazionali che hanno radiografato in questi ultimi anni l’Italia, sono poi assolutamente d’accordo su un punto: va ripristinato il falso in bilancio. Nelle pieghe della contabilità delle società si nascondono spesso i fondi neri per pagare mazzette e la sostanziale depenalizzazione è stato uno dei peggiori risultati legislativi degli ultimi anni.

Andrebbe rivista in modo complessivo anche la materia dei reati tributari. Non bisogna necessariamente punire tutte le ipotesi di evasione o elusione con sanzioni penali (anzi), ma bisogna prevedere pene severe per i fatti più gravi: con le norme attuali nemmeno Al Capone avrebbe fatto un giorno di carcere per evasione fiscale!

Soprattutto nella legislazione penale andrebbe messa mano alla normativa sulla prescrizione. I tempi entro i quali il reato di corruzione si estingue restano troppo brevi e non consentono di arrivare a una sentenza di condanna. Sarebbe auspicabile la totale abrogazione della legge Cirielli che ha finito per favorire solo i colletti bianchi o comunque andrebbero, da subito, equiparati i delitti contro la pubblica amministrazione, quanto a prescrizione, a quelli in materia di mafia. Questo riguarda anche il voto di scambio, che oggi si prescrive in tempi risibili e nel caso delle cosche punisce solo il pagamento in denaro delle preferenze, offrendo strumenti limitati per stroncare l’intervento dei clan nelle competizioni elettorali. 

Ed ancora bisognerebbe rivedere le disposizioni sulle pene accessorie: chi è condannato per reati contro la pubblica amministrazione o per delitti comunque gravi non deve ritornare negli uffici di provenienza o in altri analoghi. Le logiche troppo perdoniste delle commissioni disciplinari interne agli uffici hanno consentito ai condannati di restare al loro posto o persino di fare carriera.

Per intervenire sui patrimoni costruiti grazie alla corruzione sarebbe utile la punizione dell’autoriciclaggio anche nei reati contro la pubblica amministrazione; è un non senso che non venga sanzionata la ripulitura o il reinvestimento del denaro da parte di chi abbia intascato tangenti.

Infine, per spezzare il rapporto omertoso che lega corrotto e corruttore vanno garantite sia misure antidiscriminatorie il favore di chi denuncia, in analogia a quanto avviene per i whistleblowers dell’esperienza anglosassone sia individuati sconti di pena per coloro che collaborano con i magistrati.

“Bene anche se tardi, ora serve un progetto” – Raffaele Cantone ne L’analisi, su Il Mattino di Napoli, ed. naz. di sabato 8 dicembre 2012

Quando i fatti danno ragione in ritardo alle idee e proposte si prova una soddisfazione magra che ha un sapore abbastanza amaro; certo, è una conferma della bontà di un ragionamento, ma sotto sotto si resta nel dubbio che gli argomenti spesi non siano stati sufficienti a consentire di adottare le scelte necessarie, nel momento giusto ed opportuno. Quando poi si ottiene ragione su una questione come quella della nuova faida di Scampia, che sta seminando morte e terrore in un quartiere di Napoli, davvero non puoi nemmeno per un attimo sentire un sentimento di compiacimento. 
Da parte di questo giornale da tempo si era prospettata l’opportunità di mandare l’esercito a Napoli; si era risposto, invece, da più parti che la città non aveva bisogno di militarizzazione ma di normalità; le forze dell’ordine sul campo, debitamente rinforzate, potevano ben fare quanto indispensabile.

Esercito ScampiaL’escalation di violenza, come purtroppo, tutti sappiamo non si è affatto fermata; è rimasta una pia aspirazione quella della normalità in un contesto in cui cresce soltanto a dismisura la rabbia e la paura di una parte degli abitanti.
Ieri, però, il ministro Cancellieri, dopo il barbaro omicidio nel cortile della scuola, in visita a Napoli ha annunciato che sta valutando come molto probabile lo stanziamento di un contingente militare. 
E quindi, crisi di governo permettendo, in tempi brevi, forse persino per Natale, potrebbe arrivare nella zona di Scampia e di Secondigliano un certo numero di militari con il compito di presidiare alcuni luoghi sensibili (quali scuole ed edifici pubblici), dai quali tenere lontane violenza e morte.
Ovviamente non ci sarà mai la prova che questa stessa opzione adottata prima avrebbe avuto effetti positivi; e del resto davanti a quel che accade non c’è tempo di intrattenersi in sterili ed inutili polemiche; bisogna, invece, plaudire anche a chi ha l’intelligenza e la cultura di cambiare idea, se necessario.
E’ bene però dirlo con chiarezza; la scelta adottata appare opportuna e necessaria perchè in tal modo si aumentano i luoghi fino ad oggi presidiati con abnegazione dalle forze di polizia presenti in città e si renderanno sicuramente più difficili omicidi come quello dell’altro giorno, in cui i killer hanno avuto l’impudenza di inseguire la malcapitata vittima in una pubblica strada fin dentro la scuola.
Ma altrettanto va aggiunto che l’esercito non è affatto la medicina, ma semplicemente un presidio di pronto soccorso; bisogna oggi arginare a tutti i costi la violenza omicida, ma questo è soltanto l’obiettivo immediato. Il problema del disagio di Scampia e di altre periferie della città resterà anche quando la faida si fermerà.
Ed allora con il governo centrale prossimo futuro e chi amministra città, regione e provincia dovrà farsene carico; delle periferie si parla tantissimo in campagna elettorale, ma molto meno nella pianificazione degli interventi ordinari sul territorio.
Proprio cominciando da Scampia, divenuto anche ingiustamente quartiere simbolo del degrado dell’intero meridione, si dovrà dimostrare di voler svoltare e lo si dovrà quando i riflettori dei media si spegneranno. Questa sarà la vera dimostrazione di amore per la città. 

Ben vengano eventualmente le demolizioni delle Vele – di cui in verità si parla invano da anni – ma accanto alle distruzioni ci vuole un progetto vero per quel quartiere in modo da trasformarlo da dormitorio in una realtà viva. Ci piacerebbe, senza essere considerati pazzi o sognatori, che in un prossimo futuro chi intenderà presentare Napoli a turisti e stranieri potrà mostrare nella cartolina non solo il lungomare liberato dalle auto o le vele della Coppa America o la splendida piazza plebiscito o una prima del San Carlo con tanti ministri e autorità in frac, ma anche una periferia degna di uno Stato europeo che sia sempre meno simile a quella di alcune città sudamericane.

“La solita cura anti-camorra non basta più” – Raffaele Cantone, ne L’analisi, su Il Mattino di Napoli, ed. naz. di giovedì 6 dicembre 2012

Ieri a ora di pranzo si è definitivamente certificata un’escalation nella guerra di camorra di Scampia che giustifica a pieno titolo la qualificazione di “nuova faida”.
Quando, alcuni mesi fa, subito dopo l’omicidio di Gaetano Marino, consumatosi a Terracina, in spiaggia, in pieno giorno e dinanzi a centinaia di persone, il procuratore aggiunto di Napoli, Sandro Pennasilico, parlò del rischio di una faida con tratti simili a quella del 2004-2005, a molti (me compreso), sembrò un’esagerazione.
La mattanza di quegli anni pareva irripetibile; le condizioni criminali erano cambiate; i clan che gestiscono lo spaccio – mai interrotto, ma certamente ridotto sono obiettivamente meno potenti e gli apparati investigativi sono decisamente più forti sul piano informativo e su quello del controllo del territorio. A Scampia e nell’intero quartiere di Secondigliano è certamente cresciuta una società civile che, con piccoli gesti e con l’impegno quotidiano, sta dando segni di discontinuità rispetto ai criminali.
Quest’analisi – che continuo a considerare corretta – deve però fare i conti oggi con gli ultimi avvenimenti.

Omicidio_Scampia_AsiloL’omicidio ieri del cinquantenne pluripregiudicato nel cortile di una scuola materna denota che, pur di colpire l’obiettivo, i killer non temono non solo di entrare in un luogo che, secondo rituali del passato sarebbe stata “zona franca”, ma di mettere a rischio la vita di bambini piccolissimi.
E se ne infischiano del clamore mediatico che la notizia avrà (sia pure per poche ore), su tutti i tg e i giornali nazionali; il risultato (cioè la morte di un nemico), prima di tutto!
Questo eclatante delitto segue uno di quattro giorni fa di un giovane scaricato come un pacco su una strada molto trafficata che collega Napoli con la periferia degradata; un giovane, tra l’altro, figlio di una famiglia borghese di un quartiere bene della città. Ma soprattutto l’episodio di ieri va letto sulla scorta delle notizie apparse in settimana sui giornali (quasi soltanto locali), trapelate dalle indagini, tempestive e efficaci, delle forze dell’ordine e della magistratura sull’omicidio di Pasquale Romano. Secondo quanto si è accertato, il vero obiettivo dei killer, collegato a uno dei clan in conflitto, avrebbe dovuto essere colpito grazie alla complicità di una donna, zia della fidanzata e quindi persona di famiglia; una scena che sembra ricordare quelle viste nella pellicola Gomorra. Un errore della donna (non avrebbe mandato il tempestivo sms!), sarebbe costata la vita a Pasquale, estraneo a ogni logica criminale, che quella sera aveva come unico obiettivo giocare una partita di calcetto fra amici.
Il killer avrebbe anche confessato a un amico che una volta cominciato a sparare non riesce più a fermarsi: non è, quindi, in grado di capire se l’obiettivo contro cui si accanisce sia davvero quello prefissatosi. Nella dinamica dell’omicidio Romano e in quella di ieri della scuola Montale si intravedono gli argomenti a sostegno dell’affermazione del procuratore napoletano, senza nemmeno contraddire quelli di segno contrario. Questa guerra viene da clan più deboli certamente e senza una leadership credibile e carismatica, ma quelli che sparano sono gente fuori controllo, strafatti di cocaina, giovanissimi pronti a cambiare schieramento e ad ammazzare chi, fino a dieci minuti prima, era con loro a mangiare, spacciare o sparare. Sono veri e propri ordigni umani, pericolosissimi come mine antiuomo, capaci di ogni genere di danni collaterali!
E rispetto a questo scenario le logiche tipiche delle indagini antimafia – che richiedono tempi fisiologici per provare le responsabilità penali – rischiano di non apparire efficaci nel breve periodo.
C’è da attendersi nell’immediato – per quel moto di momentanea indignazione, connesso all’avere la notizia varcato il Garigliano – annunci di nuove misure per un migliore controllo del territorio che si tradurranno nel mettere ancor più sotto pressione le forze di sicurezza e investigative già in campo, visto che è ben difficile pensare che oggi, contraddicendo le affermazioni di ieri, si arrivi a rinforzi sostanziosi o all’invio dell’esercito per presidiare Scampia.

Non so perchè, ma, mentre scrivo, mi frulla in mente un’amarissima (e troppo spesso attuale) frase dello storico latino Tito Livio, riferita alle non certo recenti guerre puniche: “dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur”.

“Nuovi strumenti contro le mafie. Una agenda per i governi futuri” – Raffaele Cantone, su Corriere della Sera, lunedì 12 novembre 2012

Le mafie sono decisamente cambiate negli ultimi anni. L’ala militare appare oggi meno forte, anche se vi sono segnali di recrudescenza da non sottovalutare (vedi nuova faida di Scampia); il livello, invece, di inquinamento dell’economia e delle istituzioni è elevatissimo e non riguarda più piccoli centri della Locride, delle Madonia o dei Mazzoni, ma arriva ai principali mercati, enti e comuni non solo più del Mezzogiorno d’Italia.
Le indagini della magistratura e la coraggiosa attività di un ministro dell’Interno poco sensibile alle “logiche” politiche lo dimostrano in modo inconfutabile. Se per la repressione della mafia militare la normativa appare abbastanza all’altezza delle necessità, non allo stesso modo si può dire per quella che deve bloccare le scorribande dei clan nell’economia e nella politica. E’ qui che servono certamente nuovi strumenti che sarebbe auspicabile trovassero spazio nelle “agende” di chi governerà in futuro. In primo luogo occorre impedire che le mafie condizionino la vita politica a tutti i livelli, ma soprattutto a quello locale, dove si giocano le partite che a loro più interessano. Sarebbe utile, in tal senso, che tutti i movimenti politici si dotassero di codici di autoregolamentazione a maglie molto strette, che prevedano l’incandidabilità per ogni tipo di elezione non solo dei condannati in primo grado per alcuni specifici reati, ma anche dei semplici rinviati a giudizio per reati connessi alle mafie e di quegli amministratori citati nei provvedimenti di scioglimento dei consigli comunali contigui ai clan.
Si dirà che a poco varranno questi codici, non cogenti; e invece la loro violazione potrebbe almeno rappresentare un argomento “politicamente” spendibile.
Sul piano normativo, a maggior ragione nel caso di ripristino delle preferenze, bisognerebbe rendere effettivo il reato di voto di scambio politico mafioso (416 ter), prevedendo la punibilità non solo quando ci sia l’erogazione di denaro, ma di qualsivoglia altra utilità. In questa stessa ottica, andrebbe modificato il delitto di voto di scambio “ordinario”, previsto dalle leggi elettorali, che è accompagnato da una norma in materia di prescrizione che lo rende inefficace: bastano appena due anni, infatti, il reato si estingue. 

E’ ineludibile, poi, completare la troppa frettolosa riforma della legge sullo scioglimento dei consigli comunali, inserita nel 2009 in uno dei tanti pacchetti sicurezza. In particolare, occorrerebbe rafforzare ed estendere le cause di ineleggibilità per gli amministratori collusi, modificare i criteri di scelta dei commissari (da individuarsi fra soggetti esperti di gestione), consentire loro di operare anche in deroga alle regole del patto di stabilità per rilanciare l’attività di governo degli enti sciolti, includere nel procedimento le società private o partecipate che svolgono servizi in house. Infine andrebbe introdotto lo scioglimento anche per i consigli regionali inquinati dalle mafie: le indagini (non solo sulla Lombardia), dimostrano quanto le cosche siano interessate a quelli che sono i più importanti centri di spesa oggi esistenti. Non è un ostacolo su questa strada la Costituzione, che anzi prevede già all’articolo 126 un’ipotesi di scioglimento (per motivi di sicurezza nazionale o per atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge), da rendere cogente anche per questa specifica tipologia.

Con riferimento alle infiltrazioni nel mondo dell’economia, è urgente la regolamentazione dell’auto-riciclaggio. Oggi si assiste alla situazione paradossale per cui un mafioso che ripulisca, anche reinvestendolo, il suo stesso denaro illecito non può essere per questo punito. Anche in questa prospettiva sarebbe utile rivedere l’attuale inutile delitto di falso in bilancio, rendendolo effettivo e idoneo anche a verificare preventive “strane” iniezioni di denaro nella società. E sarebbe necessario emendare la parte del codice antimafia – strumento varato con un gran battage, ma nei fatti apparso molto meno utile – per rafforzare la disciplina delle certificazioni antimafia (che ancora oggi sono un mero controllo formale) e prevedere la stazione unica appaltante, da utilizzarsi obbligatoriamente da parte degli enti locali infiltrati, con la presenza di esperti delle forze dell’ordine (finanza e Dia) che monitorino gli appalti anche nella fase esecutiva.
Per finire, il capitolo sui beni confiscati.
Non basta più l’idea di una destinazione meramente simbolica a fini sociali, devono trasformarsi in occasioni vere di lavoro. Meno ludoteche e centri per gli anziani, quindi, e più cooperative di giovani di produzione e lavoro.
Non deve essere un tabù neanche la vendita (con le necessarie garanzie per evitare riacquisti indebiti), di beni non utili allo scopo; per far ciò bisogna rivitalizzare l’Agenzia, che funziona poco e male, dando ad essa disponibilità economiche e materiali e creando altre sedi sui territori; e bisogna garantire provvidenze temporanee a favore di imprese avviate su beni confiscati alla mafia o per imprese tolte alle mafie; il fallimento di queste è una sconfitta pericolosissima anche sul piano dell’immagine e della credibilità delle istituzioni, perché dà l’impressione che dove la mafia porta lavoro, lo Stato lo toglie.
Al di là delle modeste proposte fatte, l’augurio vero è che il contrasto alle mafie possa essere una priorità vera; è inutile girarci intorno, se non ci liberiamo di questa zavorra, sarà davvero difficile sperare di svoltare e metterci al pari con gli altri stati occidentali.

“I ministri ora vengano tra le Vele della morte” – Raffaele Cantone, ne Il commento, su Il Mattino di Napoli, ed. naz. di lunedì 10 settembre 2012

Alle 2 e 45 di ieri mattina a Scampia si è tornati a sparare e ad uccidere. Mentre usciva da un bar, ancora aperto a quell’ora, è stato falciato, con proiettili rinforzati perchè non avesse scampo, Raffaele Abete.
Si tratta, secondo quanto si legge dalle prime cronache, di un pluripregiudicato della zona, ma sopratutto del fratello di Arcangelo, attualmente detenuto, ritenuto uno degli esponenti di punta del gruppo degli scissionisti.
Il pensiero corre immediato al 23 agosto quando a Terracina era stato ammazzato, con un delitto eclatante avvenuto nei pressi di una spiaggia affollatissima, un altro fratello “eccellente”, Gaetano Marino, germano anche lui  di un boss detenuto, Gennaro, detto McKay, già leader degli scissionisti e avvicinatosi nell’ultimo periodo al nuovo gruppo camorristico, noto come i Vinella Grassi. Evidentemente, ieri, questi ultimi si sono vendicati scegliendo con attenzione l’obiettivo; hanno rispolverato, cioè, un preciso e barbaro rituale tipico della legge del taglione.
Del resto, c’è davvero poco da stupirsi; si sono avverate le previsioni – in verità molto semplici – di chi dopo l’omicidio di Marino (e quello di qualche giorno dopo di Gennaro Ricci), paventava la probabilità di altri fatti di sangue.
Il delitto di ieri certifica definitivamente un dato: una nuova faida è in atto la cui entità, ovviamente, non è in nessun modo prevedibile. Allo stato, è ancora ingiustificato e allarmistico il paragone con quella vera carneficina che avvenne a Scampìa a metà degli anni 2000; i gruppi camorristici della zona sono oggi oggettivamente molto più deboli di quanto non lo fossero negli anni scorsi e gli equilibri di potere criminale, nella loro totale instabilità, possono in qualunque momento mutare e determinare la fine della contesa. Sarebbe, però, da irresponsabili non alzare al amssimo il livello dell’attenzione; è altamente probabile, infatti, che altri fatti di sangue accadano in zona.
Nei giorni scorsi si era avuta l’illusione che Scampia fosse stata posta in stato di assedio dalle forze dell’ordine; prima c’era stato un blitz dimostrativo con oltre 400 uomini in campo che, pur avendo prodotto risultati modesti (il sequestro di tre panetti di hashish), era stato molto pubblicizzato da media e rimarcato come un primo passo per la riconquista del controllo del territorio da parte del ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri. Poi, ieri, il Mattino aveva riportato la notizia delel difficoltà dei clan, costretti a dimezzare gli stipendi perchè i controlli a tappeto stavano creando problemi allo spaccio.
Evidentemente, si trattava di un’impressione, almeno in parte, inesatta; non si può, infatti, dare torto al presidente della municipalità, l’avv. Pisani, che rimarca come sia difficile credere che il territorio sia super presidiato quando avviene un omicidio nei pressi dell’unico bar aperto di notte in zona, che, quindi, avrebbe dovuto essere ipercontrollato. Le polemiche, però, non sono nè utili, nè produttive e rischiano di essere ingenerose verso quelle forze di polizia che in questo periodo stanno comunque profondendo uno sforzo enorme in relazione agli scarsissimi mezzi a disposizione e che negli ultimi anni hanno portato a risultati comunque considerevoli.
Bisogna, però, prendere atto che quanto messo in campo non basta e che va fatto di più e meglio.
Vanno probabilmente evitate altre azioni eclatanti, come il blitz di qualche giorno fa, che poi rischiano di restare solo nelle immagini di repertorio della tv e, invece, dosare meglio le forze in campo, organizzando i servizi in modo da coprire più territorio possibile nelel ventiquattro ore.
Ed è indispensabile uno sforzo ulteriore del governo.

Il presidente Monti, che in una efficace intervista di alcuni giorni fa a questo giornale e poi nell’intervento alla Fiera del Levante a Bari, si è dichiarato sensibile rispetto ai tanti problemi del Sud, adesso en ha uno su cui intervenire, che non può essere risolto con piani di lungo periodo o solo con l’impegno dei meridionali.
Chieda al ministro Cancellieri di venire personalmente e al più presto a Napoli, questa volta senza delegare altri a rappresentarla; come si dice in gergo, “ci metta la faccia”, accompagnando il dato simbolico della presenza del responsabile della sicurezza nazionale, all’impegno concreto di aumentare le forze in campo, dando, se necessario, anche la disponibilità all’invio dell’esercito.
C’è bisogno, infatti, di fatti concreti e immediati, senza tentennamenti e senza rinvii.   

“Rifiuti: la soluzione che non c’è” – Raffaele Cantone, su Il Mattino di Napoli, ed. naz. di sabato 14 luglio 2012

Nella giornata di ieri “Il Mattino” ha dedicato un ampio servizio, con due intere pagine, al riapparire in vari quartieri, non solo periferici, della città di cumuli di rifiuti che tracimavano dai cassonetti in tutti gli orari della giornata.
E’ bene dirlo subito: siamo lontanissimi da ben altre fotografie della città che ricordiamo vividamente e che risalgono a poco più di un anno fa; non c’è nessuna emergenza preoccupante in atto e bisogna riconoscere all’amministrazione cittadina di avere superato il momento più difficile anche riuscendo, al di là degli steccati ideologici, a creare un proficuo canale di dialogo con la Provincia e la Regione che pure hanno fatto la loro parte.
Ciò detto, e sentendomi anche di condividere pienamente la denuncia di de Magistris sulla strumentalizzazione ed esagerazione mediatica di chi vuol mostrare, in spregio alla realtà, in questi stessi giorni una città totalmente invasa dagli scarafaggi rossi usciti dalle fogne (quantomeno per non essere personalmente riuscito, nelle mie pur brevi passeggiate, ad avvistarne nemmeno uno), credo, invece, che sarebbe riduttivo spiegare i fatti denunciati dal Mattino, in modo preciso e puntuale (con tanto di servizi fotografici), come conseguenza di meri disservizi che al più incidono sul decoro di singole specifiche aree urbane.
E’ vero che l’inciviltà e le cattive abitudini di alcuni cittadini e, purtroppo, di numerosi operatori commerciali che non rispettano orari e regole concorrono a causare ciò che accade, ma è anche innegabile che il sistema che ha consentito di raggiungere l’obiettivo di uscire dall’emergenza è fondato su equilibri così instabili e precari da rendere probabile il ripetersi, con il rischio di comicizzarsi, i disservizi di questi giorni.
Pur sapendo di apparire ripetitivo, è bene ricordare che il piano proposto all’Europa, che dovrebbe consentire di uscire definitivamente dall’emergenza e di evitare le sanzioni, non sta facendo passi avanti significativi.
In provincia di Napoli non si è individuato nemmeno un sito per una discarica (rispetto alle tante promesse all’Europa!), dopo l’abbandono dell’inopportuna idea di utilizzare in tal senso Cava Castagnaro di Quarto; anzi il commissario Vardè cui era stato dato questo improbo compito, è stato destinato, immagino con suo sommo piacere, ad altro incarico.
Dei nuovi termovalorizzatori si continua soltanto a parlare, ma non è chiaro nemmeno più quanti se ne faranno e dove saranno collocati.
Degli impianti di compostaggio, sempre annunciati come imminenti, nemmeno uno è ancora pronto ed operativo.
E il puntare il tutto, come alternativa, sulla raccolta differenziata si sta rivelando alquanto illusorio; malgrado l’innegabile impegno, le percentuali di essa obiettivamente sono aumentate in città e provincia ma non sfiorano nemmeno le percentuali sperate, anche perchè i fondi necessari per incentivarla dipendono dal governo, le cui condizioni di difficoltà economica sono note a tutti.
Il sistema in questo momento regge grazie soprattutto ai tarsferimenti fuori regione e all’estero, oltre che a quanto riesce a bruciare l’impianto di Acerra; bastano, quindi, minimi intoppi (e le controversie recenti con l’Olanda dimostrano come sia del tutto probabile che accadano), per rimettere in discussione l’equilibrio faticosamente raggiunto.

Gricignano di Aversa – Via Casolla
06.07.2012 ore 20:45 Vincenzo Viglione Photographer

Ed allora il vero obiettivo non è quello di procastinare soluzioni provvisorie, ma, una volta e per tutte, costruire un ciclo dei rifiuti che ci renda autosufficienti come regione e come provincia.
Per far ciò bisogna avere il coraggio di sciogliere i nodi e dire con chiarezza quello che si intende fare nel prossimo futuro, non rinviando a improbabili palliativi che non risolvono, ma rinviano soltanto il problema.
La soluzione definitiva del problema, oltre a evitare emergenze sanitarie e ambientali, avrebbe un altro importante pregio: aiuterebbe il ripristino della legalità e renderebbe più difficile l’infiltrazione delle sempre attive imprese camorristiche, soprattutto in provincia.
La gestione con logiche non di sistema, emergenziali o comunque extraordinem abbassa, infatti, il sistema dei controlli e evita di indagare approfonditamente su chi materialmente si offre di risolvere il problema del momento; siamo davvero certi, ad esempio, che da qui a poco non si scopra tra i trasportatori che stanno portando i rifiuti fuori regione la presenza di ditte legate ai clan?
E l’esigenza di evitare infiltrazioni diventa ancora più pressante, se si pensa a quanto sta emergendo da un reportage giornalistico di questi giorni del giornale dei vescovi italiani, l’Avvenire, sul riemergere del fenomeno dello smaltimento illegale dei rifiuti, soprattutto attraverso l’incendio in quella fascia della provincia divenuta tristemente famosa come la “terra dei fuochi”.