“Restare qui e lottare per cambiare” – Raffaele Cantone, su Il Mattino di Napoli, ed. naz. di mercoledì 4 dicembre 2013

 

Vincenzo Viglione photographer

Vincenzo Viglione photographer

Nell’ultimo mese ho ricevuto numerosissimi sms, telefonate o richieste fatte a voce che contenevano tutte più o meno la stessa domanda:”Dobbiamo andarcene, dalla Terra dei Fuochi?”. In molti casi, alla domanda si aggiungeva una precisazione non da poco: “Abbiamo figli piccoli e siamo terrorizzati”. Voglio provare a rispondere a queste richieste non come magistrato, né tantomeno come tecnico del diritto, ma come cittadino che abita (da sempre) nel cuore della zona ritenuta maggiormente inquinata, per raccontare la mia esperienza e per portare ancora una volta alla luce il livello incredibile di paura e di preoccupazione che serpeggia fra tanti abitanti. Le fotografie di tanti bambini (e non solo) morti per malattie oncologiche, mostrate nel corso di una delle maggiori manifestazioni di protesta dell’ultimo periodo, hanno evidentemente avuto un effetto profondo ed indelebile.
Chi mi rivolgeva il tremendo quesito, se fosse ormai ora di emigrare, lo faceva perchè pensava che io avessi risposte o dati certi. Nella maggior parte dei casi, credo, che ci sia un impagabile desiderio di rassicurazione. Confesso che ai primi amici ho risposto con un po’ di sicumera: “Io non ho intenzione di andar via; questa è la mia terra dove sono nato e a cui sono, malgrado tutto, legatissimo e non la lascio”. Ammetto, però, che nel corso dei giorni ho cominciato ad abbandonare questo mio atteggiamento un po’ troppo fideistico ed il tarlo del dubbio mi ha portato, in certi momenti, a dirmi: già lavoro a Roma, posso allora anche io decidere di cambiare vita; tante volte – mi sono ancora detto – per ragioni diverse, questa idea mi era balenata e potrebbe essere arrivato il momento di rompere gli indugi.
Si è trattato, in verità, solo di momenti. Perchè, con tanti più dubbi di prima, rimango ancora saldo nella mia posizione iniziale; resto, non perchè intendo sfidare alcunchè (anzi, da buon napoletano scaramantico, faccio i dovuti scongiuri), ma perchè mai come in questo momento, è indispensabile continuare a vivere qui, per provare a cambiare queste terre, approfittando di un momento di grande partecipazione anche emotiva di tante persone, che finalmente si stanno rendendo conto che i criminali che qui hanno spadroneggiato, hanno fatto danni a tutti.
Ma questa motivazione personale, tutto sommato ideologica, pur forte, lascia molti interrogativi aperti anche in chi non si fa impressionare dalle indicazioni profetiche di qualche pentito che sembra Nostradamus, quando annuncia la prossima fine del mondo, né tantomeno da dati di scarso valore scientifico e tecnico snocciolati da alcuni catastrofisti, che si stanno conquistando grande audience in questo periodo.
Il bisogno di informazioni è oggettivo. Queste non devono essere necessariamente rassicuranti, ma assolutamente il più vicino possibile alla verità. L’assenza di notizie ufficiali, infatti, finisce per alimentare ancor di più voci incontrollate ed un terrore del tutto irrazionale.
Provo ad ipotizzare alcune delle domande chela gente si pone: c’è un aumento effettivo, di malattie oncologiche, collegate a fenomeni di inquinamento? Ci sono rischi, nell’ingerire prodotti provenienti da queste terre?
L’acqua è davvero, potabile? Quali e quanti, sono i terreni inquinati? E da quali materiali? Su queste domande occorrono risposte delle autorità certe, condivise e confermate nel tempo.
Ieri, il Governo ha finalmente varato l’atteso decreto legge sulla Terra dei Fuochi. Dalle anticipazioni dei giornali, sembra che il provvedimento di urgenza spazi opportunamente su più fronti, da quello repressivo degli sversamenti abusivi e degli incendi di rifiuti tossici e pericolosi, a quello più squisitamente preventivo, con l’individuazione e la perimetrazione dei luoghi inquinati sui quali eventualmente vietare alcune coltivazioni e poter poi provvedere alle bonifiche. Si tratta di una legge che va nella giusta direzione ed è il primo atto con cui il governo scende in campo in modo concreto e fattivo sulla questione.
Certo, proprio perchè complesso, il decreto merita di essere approfonditamente studiato ed in questo senso bisognerà anche attendere la conversione in legge per comprendere gli eventuali emendamenti apportati nella fase parlamentare. Ci sarà, quindi, occasione per poter, in modo più preciso, ritornare su di esso anche per stimolare eventuali correttivi e miglioramenti.
Il decreto varato ieri era di certo indispensabile, male risposte agli interrogativi che le persone si pongono, lo sono ancor di più. Non si possono lasciare tanti cittadini disorientati: è un diritto di tutti, sapere e capire. Anche perchè conoscendo, si può ancora prevenire ed evitare eventuali altri disastri.

“Perchè dico no, alla scelta di Giugliano” – Raffaele Cantone, su Il Mattino di Napoli ed. naz. di martedì 10 settembre 2013

inceneritore-14Domenica scorsa, invitato ad una manifestazione a Mugnano, comune dell’area Nord di Napoli, lo scrittore Erri De Luca ha pronunciato parole durissime contro il programmato termovalorizzatore a Giugliano, evocando uno «scenario da Val di Susa» e dichiarandosi disponibile a partecipare in prima persona alle lotte di piazza. Personalmente (e credo a nome di un intera comunità) ringrazio De Luca; con le sue parole autorevoli ha evitato che una questione delicatissima fosse relegata ad una protesta di paese; è del tutto condivisibile anche l’analisi da lui fatta secondo cui non si può imporre un’opera del genere senza interloquire con una comunità.
Non mi auguro affatto, invece, (ed anzi mi dissocio nettamente da) scenari di proteste violente, come quelli in corso in Piemonte con i No Tav; invito, anzi, tutti a misurare le parole; il clima già è alquanto incandescente. Proviamo a capire mettendo ordine nella vicenda e partendo purtroppo da lontano.
E’ da tempo che da più parti si ricorda come l’emergenza rifiuti non sia stata affatto superata; da quell’ultima esplosa, con la monnezza per strada,poco o nulla è stato fatto se non mandare all’estero la spazzatura; si era promesso all’europa, per evitare gravi sanzioni monetarie, con un po’ di faciloneria la costruzione di quattro termovalorizzatori, l’apertura di varie discariche (indicati tartufescamente come siti di riqualificazione), di luoghi per il compostaggio, l’aumento della differenziata.
Nessuna promessa è stata mantenuta, tanto che sono quasi certe nuove sanzioni.
In piena estate, svegliandosi da un lungo torpore, viene bandita la gara per il termovalorizzatore di Giugliano che dovrebbe ingoiare (solo?) il fiume di ecoballe scandalosamente posto a cavallo delle province di Napoli e Caserta,più volte censurato da Bruxelles.
Scelta a dir poco discutibile, quella del periodo del bando.
Secondo un costume italiano, l’estate si utilizza per attività amministrative (concorsi e promozioni, ad esempio) cui si spera gli italiani non si accorgano; un “giochino” non proprio trasparente.
Nel merito, poi, la scelta è improvvida e non ho paura di definirla sciagurata.
Premetto che non sono contro i termovalorizzatori; ho visto personalmente esperienze virtuose nell’Europa centrale o nel centro Italia; credo essi non siano più pericolosi di discariche e di rifiuti smaltiti male. Non faccio parte nemmeno del partito Nimby (dall’inglese “non nel mio giardino”); non contesto questo impianto perchè abitante dell’area Napoli Nord. Ci sono, invece, ragioni oggettive evidentemente ignorate e pretermesse. Giugliano è un territorio con un carico ambientale enorme; vi sono numerose discariche pubbliche, in qualche caso mal gestite e con danni evidenti; ve ne sono molte di più abusive e non c’era bisogno delle parole (tardive e generiche) del pentito Schiavone, per saperlo. La perizia disposta alcuni mesi fa dalla Procura di Napoli, ha provato la presenza di rifiuti pericolosissimi in una zona vicinissima al centro abitato; secondo il tecnico del pm, quanto intombato dalla camorra sarebbe tanto pericoloso che, se non si dovesse intervenire con una bonifica radicale, intorno al 2040/50 potrebbe verificarsi un effetto Chernobyl, con la fine di ogni forma di vita vegetale e con l’inquinamento definitivo delle falde acquifere.
Giugliano è inoltre al centro della cosiddetta Terra dei fuochi; criminali, nemmeno più collegati alla camorra, incendiano rifiuti di ogni tipo; e basta per rendersene conto vedere il fumo ed odorare il puzzo chiarissimo di gomma e plastica presente nell’aria. I cittadini sono esasperati e non riescono a far sentire la loro voce se non grazie ad organizzazioni di volontariato o a preti di frontiera; si invocano interventi di bonifica, a cui si risponde, ad oggi, dalle istituzioni con promesse molto generiche.
Questa è la situazione del territorio e non è affatto esagerata. Calare dall’alto un nuovo impianto con un ulteriore impatto ambientale senza spiegare, come le regole democratiche vorrebbero, perché lo si deve fare qui, per cosa sarà utilizzato e soprattutto quali effetti positivi il territorio otterrà, è buttare benzina sul fuoco.
E’, quindi, un dovere della classe dirigente, locale e nazionale, rivolgersi a questa popolazione considerandola di cittadini e non di sudditi. C’è bisogno mai come in questo momento di comportamenti intelligenti, coraggiosi e responsabili per evitare il rischio di scontri ideologici e di chi voglia utilizzarli per generare confusione e violenza.

Costruiamo la città, con l’insegnamento di Paolo Borsellino e Giovanni Falcone

COMUNICATO STAMPA

Paolo BorsellinoGIUGLIANO – A ventuno anno dalla strage di via D’Amelio a Palermo, dove mafia e pezzi deviati dello Stato uccisero facendo a brandelli Paolo Borsellino e gli agenti Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina e Walter Eddie Cosina, l’Associazione “Contro le mafie” di Giugliano, fra i fondatori del Presidio di Libera “Mena Morlando”, invita tutti ad una riflessione profonda su quanto è accaduto ed accade ancora nel nostro Paese, sulle nostre terre, martoriate dal vile pactum sceleris fra camorra, imprenditoria e cattiva politica. La nostra città, il cui consiglio comunale è stato sciolto solo pochi mesi fa per infiltrazioni camorristiche, ha necessario bisogno di una rinascita civile e politica. “Contro le mafie” invita tutti i cittadini a non guardare dall’altra parte, ma a sentirsi corresponsabili di quanto accade ed è accaduto: impegniamoci, denunciamo il malaffare, le collusioni e la criminalità e costruiamo insieme, sotto il segno dell’Impegno e della Memoria, una città diversa da quella che abbiamo abbandonato da tempo.
Che il sacrificio di tutte le vittime innocenti delle mafie, di Paolo Borsellino e Giovanni Falcone non sia vano e alimenti la nostra passione civile, al fine di sgretolare finalmente il consenso di cui si nutrono le mafie, tese a rubarci il futuro e a ricavare profitto sulla nostra pelle.

Intitoliamo l’aula consiliare del Comune di Pagani a Marcello Torre

COMUNICATO STAMPA
Associazione “Contro le mafie”, Giugliano, lì 11 luglio 2013

 

“Sogno una Pagani civile e libera” – così, Marcello Torre, sindaco della città salernitana, nella sua lettera-testamento, prima di cadere da vittima innocente sotto i colpi della camorra targata N.C.O.
Un Sindaco, Torre, che per proteggere la sua Pagani ed i suoi cittadini dalle mani voraci di quella camorra che minaccia e si insinua pericolosamente nelle Istituzioni, si è opposto fino all’estremo sacrificio, consapevole della viltà e della violenza di questo sistema.

torreCombattere le mafie, è compito che spetta a tutti Noi, nessuno escluso.
E’ il consenso che ruota intorno a questo sistema criminale, quello di cui si nutre per esistere, che va sgretolato. E questo non è solo ed unicamente compito delle Forze dell’Ordine e della Magistratura; ma di tutti Noi cittadini, attraverso i nostri comportamenti civili, onesti. La libertà dalle mafie dipende dalla nostra Dignità di uomini e donne che decidono di alzare la testa e non prestare consenso alle stesse; lontano da connivenze, indifferenza ed omertà.
L’associazione “Contro le mafie” non può accettare che ad oggi, la Città di Pagani (il cui Consiglio comunale è stato sciolto per infiltrazioni camorristiche), non abbia attribuito simbolicamente gli onori dovuti ad un Uomo giusto cresciuto sulla propria terra; un primo cittadino che operava per il Bene Comune, che è stato ucciso perché fino alla fine, si è battuto contro l’ingerenza criminale.
Un amministratore solo, Torre. Come ne sono tanti, oggi.
L’associazione “Contro le mafie” chiede, prima che ai Commissari prefettizi, agli stessi cittadini di Pagani, di unirsi a noi, nella richiesta di intitolazione dell’aula consiliare del Comune di Pagani a Marcello Torre.
Questo Paese, resta in piedi grazie a Persone come Lui:  Uomini e Donne che amano la propria terra e gestiscono gli affari amministrativi ed istituzionali con abnegazione e grandissimo senso del dovere, contro tutte le mafie.

“Napoli, il Far West dei ragazzini killer” – Raffaele Cantone, su Il Mattino di Napoli, ed. naz. di domenica 7 luglio 2013

Il reportage di Giuseppe Crimaldi, contenuto nelle pagine di cronaca, riporta un episodio che dovrebbe far sobbalzare dalla sedia i cittadini non solo napoletani.
un commando di sei killer, partiti dai Quartieri spagnoli, si reca con tre moto potenti, i cui occupanti sono travisati da mephisto neri, a Ponticelli, a casa di un soggetto considerato un emergente del gruppo camorristico.
Il bersaglio forse si avvede dell’imminente agguato e scappa; i killer non vogliono tornare indietro a “mani vuote”; trasformano la spedizione di morte in atto intimidatorio di cui deve restare il segno; esplodono una vera pioggia di fuoco contro la finestra dell’abitazione in cui ci sono la moglie e la figlioletta di otto mesi del bersaglio sfuggito, e per miracolo non vengono colpiti. Poi si allontanano, come in una scena da film western, con le pistole in bella mostra, con le canne rivolte verso il cielo, a voler dimostrare il controllo totale del territorio. Due dei killer, però, vengono intercettati da una coraggiosa pattuglia di carabinieri in borghese.

Fonte: ilmattino.it

Fonte: ilmattino.it

I tre militari che la compongono conoscono Napoli a menadito e difficilmente restano sorpresi dalle scene che quotidianamente vedono; eppure ieri saranno rimasti di sasso a scoprire sotto i mephisto, il volto di due ragazzini; avevano 16 anni, da poco compiuti. Non avranno potuto fare a meno di pensare, come nel giro di controllo fatto da altri colleghi o da loro stessi poco prima, nei quartieri della movida o sul lungomare, i coetanei dei due ragazzi da loro arrestati stavano divertendosi, in meritata vacanza, probabilmente dopo la fine della scuola. Gli arrestati, invece, avevano scelto una serata diversa; un’attività altamente pericolosa, come recarsi in un quartiere tutt’altro che tranquillo per ammazzare un soggetto certamente in grado di difendersi con mezzi analoghi. Lo avranno fatto di certo, esaltati ed obnubilati dagli stupefacenti, quasi certamente della cocaina.
Non ci sarebbe da meravigliarsi, se nel prosieguo delle indagini gli inquirenti scopriranno che anche gli altri quattro componenti della spedizione di morte, fossero di età più o meno analoga. Non è difficile pronosticare chi sono i due ragazzi; probabile abbandono scolastico precoce; precedenti penali per reati contro il patrimonio; famiglie disastrate ed inserite nell’ambiente criminale; un destino, insomma, quasi segnato.
Ma questo tentativo di spiegazione non può far venir meno l’enormità della vicenda; due ragazzini, già esperti (baby) killer, utilizzati chissà da chi per andare ad ammazzare; che partecipano ad una sparatoria, con armi potentissime, che per poco non provoca la morte di una neonata di 8 mesi, che ha la sola colpa di essere la figlia di un altro poco di buono!
Ma il punto vero è un altro; quanti davvero sobbalzeranno dalla famosa sedia, leggendo l’articolo di Crimaldi? Sono pessimista a pensare pochissimi?
L’episodio sarà archiviato come un’altra “breve di cronaca”, di cui domani ci si sarà dimenticati e che di essa fuori Napoli nessuno conoscerà nemmeno. eppure il coinvolgimento criminale di giovanissimi non è affatto un’eccezione, che non sminuirebbe né la gravità, né la drammaticità. Sta diventando, invece, una tragica regola, della quale ci siamo abituati in fretta e disinteressati con uguale velocità!
Come non pensare ai tantissimi ragazzi, persino più piccoli di quelli arrestati ieri, pienamente coinvolti nell’attività di spaccio non solo a Scampia, ma anche nelle altre piazze meno famose, ma non meno fiorenti come il Parco Verde di Caivano o le Salicelle di Afragola?
Su questo giornale già in altre occasioni, si è ricordato come i quadri (o persino i vertici) di molti clan cittadini siano ormai occupati da giovani poco più che ventenni, noti per soprannomi da ragazzini imbarazzanti per chi vuole atteggiarsi a camorrista. Ragazzi molto in fretta cresciuti anche dal punto di vista criminale che hanno approfittato dei vuoti di potere, creatisi per gli arresti dei vecchi boss e che grazie alla loro carica di violenza si sono imposti in piazze criminali dove i loro predecessori avevano un ben cospicuo pedigree delinquenziale.
E quanti ragazzi, poco più che maggiorenni sono già morti, vittime di faide criminali, o sepolti in carcere da condanne lunghissime, in qualche caso persino ergastoli?

Girarsi dall’altro lato rispetto a questa enormità, sta diventando un atteggiamento che – bisogna dire con chiarezza – è ormai di vera connivenza.
Se pensiamo che un’intera fascia sociale debba distruggere ed autodistruggersi, ha davvero senso parlare di lotta alle mafie, andare con striscioni alle manifestazioni e mettersi bei distintivi sulle giacche?

“I ritardi e l’alibi camorra” – Raffaele Cantone, su Il Mattino di Napoli, ed. naz. domenica 23 giugno 2013

Per molto tempo osservatori, soprattutto esterni, della realtà napoletana hanno individuato quale responsabile dell’emergenza rifiuti la camorra. Sarebbero stati i clan che, speculando, avrebbero impedito il passaggio a un ciclo virtuoso. E a questa lettura si sono, in qualche caso, omologati anche intellettuali e politici locali, più o meno (fintamente) disattenti.
Del resto, individuare nella camorra il responsabile può servire (strumentalmente?) per dare copertura e giustificazione ad omissioni ed inattività.
Il deferimento della Commissione Ue, avanzato in questi giorni, con l’aggravante della recidiva, che porterà l’Italia davanti alla Corte Ue e ad una condanna inevitabile ci si augura possa almeno avere un effetto benefico; evitare per il futuro il ricorso a falsi alibi e a comodi capri espiatori.

emergenza-rifiuti-napoliRicapitoliamo brevemente i fatti; nel 2010, con la sentenza n. 297-08, la Corte europea stabilì, con riferimento alla drammatica emergenza degli anni precedenti, che in Campania non erano state adottate tutte le misure necessarie per assicurare che i rifiuti fossero recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza pregiudizio all’ambiente; si sanzionò, in pratica, con la condanna del nostro Paese l’assoluta incapacità di organizzare un ciclo completo dei rifiuti.
Negli anni successivi, pur essendo in apparenza la situazione tornata alla normalità, la Commissione Ue tornò alla carica ed aprì una nuova procedura di infrazione, stabilendo che in Campania il ciclo dei rifiuti non era affatto virtuoso e che l’emergenza era solo in apparenza cessata, grazie ad una soluzione tampone e cioè i viaggi all’estero di navi stracariche di monnezza; fissò un termine non breve per trovare una soluzione e per adottare un ciclo che fosse rispettoso delle direttive comunitarie.
Nel gennaio 2012 il ministero dell’Ambiente, la Regione, la Provincia ed il Comune predisposero un piano (l’ennesimo della serie!) che inviarono all’Unione europea che avrebbe dovuto evitare l’odierno deferimento. Non c’era bisogno di essere un esperto per sapere fosse un illusorio palliativo e furono in molti a dirlo da subito, fra cui anche il sottoscritto proprio su questo giornale. Esso peccava di ottimismo sulla possibilità di ampliare la differenziata, aprire impianti di compostaggio e di reperire siti per predisporre nuove discariche (di queste ultime ne erano previste persino sei, lì dove per anni era stata difficile trovarne una!); conteneva pericolose ambiguità (la parola discarica veniva ipocritamente evitata e celata dietro quella di “operazioni di ricomposizione ambientale”) ed evidenti contraddizioni (si faceva riferimento alla necessità del termovalorizzatore in città, malgrado il sindaco di Napoli avesse più volte dichiarato che mai l’avrebbe accettato).
Da quel momento, quel piano inviato a Bruxelles è rimasto solo sulla carta, forse credendo che l’Europa si sarebbe accontentata di qualche generica promessa o avrebbe creduto alle affermazioni trionfalistiche di chi magnificava gli eccezionali e progressivi risultati ottenuti. Nessuno più si preoccupava davvero delle percentuali di differenziata raggiunte in provincia di Napoli, lontane anni luce a quelle promesse e vagheggiate in più occasioni! Ed inevitabile a fare chiarezza è arrivata la censura Ue, organismo che controlla i fatti e non tiene in conto alcuno le promesse da marinaio.
Con il deferimento si addossano da subito all’Italia quasi 20 milioni di euro di multa, ma si prefigura una multa ancora più salata subito dopo la sentenza, commisurata ai giorni in cui si protrarrà l’inosservanza, che rischia di costare parecchi milioni di euro.
Come avvenne per il famoso furto di Santa Chiara, adesso si comprano altre porte di ferro e cioè si predispone un altro piano, dando per scontato che quello precedente era solo una finzione; si nominano altri commissari per i termovalorizzatori e ritornano, quasi echi lontani, le parole su percentuali della differenziata da Svezia o Danimarca.
Domanda: ma in tutto questo periodo, è stata la camorra ad impedire di avviare il ciclo? Ci sono state minacce o intimidazioni per evitare che si aprissero siti di compostaggio o si cominciassero i lavori per i termovalorizzatori (ce ne volevano secondo il piano del 2012, ben 4!!)? Sono stati i clan, che hanno reso impossibile un ciclo della differenziata decente? Sono quesiti che non meritano nemmeno risposta, visto quanto è scontata. Le omissioni, però, non sono indolori; costeranno alla comunità (quindi a tutti i cittadini, campani e non) un esborso economico pesante del quale è giusto individuare i responsabili.

C’è materia evidentemente per la Corte dei Conti, una magistratura che negli ultimi anni ha dimostrato di essere attenta ed attiva sul fronte del recupero degli sprechi. I giudici contabili potranno, partendo dalla normativa nazionale e da quella purtroppo pessima regionale, verificare chi non ha fatto e che cosa non è stato attuato, senza consentire comodi scaricabarile. E se, come ci si augura, questo accadrà, un risultato è già sicuro; un unico soggetto non uscirà condannato, e si tratta proprio di quell’entità che responsabilità di incommensurabili mali per il nostro territorio, ma a cui non bisogna addossarne anche altre che non ha! 

“La violenza dei padri, la condanna dei figli” – Raffaele Cantone su Il Mattino di Napoli, ed. naz. di martedì 9 aprile 2013

Non è ancora chiaro il movente né lo svolgimento della rissa in cui ha perso la vita un ragazzo di 14 anni.

fiaccolata_aversa_cinqueLe prime notizie indicano il deceduto ed i feriti come imparentati ed esponenti di primo piano del clan dei casalesi, sodalizio da sempre egemone nella zona; il padre del feritore sarebbe anche lui gravato da precedenti minori e, particolare interessante, il ragazzo sarebbe giunto sul luogo, malgrado sprovvisto di patente, a bordo di un’auto. Ieri, il Procuratore aggiunto, coordinatore della DDA di Napoli, Cafiero de Raho, uno dei maggiori conoscitori della realtà criminale, di recente promosso con pienissimo merito a capo di una delle Procure più importanti d’Italia, Reggio Calabria, nel corso di un intervento ad un convegno ha affermato che a Napoli e Caserta i clan camorristici sono in rotta.
E che in molte zone è persino possibile considerarli sconfitti. Cosa c’entrano un fatto gravissimo di cronaca nera e una dichiarazione di speranza di uno stimatissimo magistrato? In apparenza niente, ma il collegamento esiste, eccome.
Partiamo dalla dichiarazione di Cafiero; la sua analisi è, come al solito, lucida e pienamente condivisibile; negli ultimi anni sono stati sferrati alla criminalità camorristica colpi durissimi; molti clan (non tutti, in verità) hanno subito arresti dei capi ed affiliati e sequestri milionari di beni.
Tutti i latitanti più importanti sono stati assicurati alla giustizia e la loro prospettiva di recuperare la libertà è pari sostanzialmente a zero; resteranno detenuti per sempre o per tantissimo tempo. Molti clan, quali i ritenuti invincibili casalesi ad esempio, sono stati quasi rasi al suolo; arrestati tutti i componenti dell’ala militare, fino alle ultime fila. Sconfitti? Certamente sì!
Ma se cercassimo di riproporre la domanda in altro modo, la risposta sembrerebbe contraddittoria; lo Stato ha vinto? Io risponderei, con amarezza: no!
E qui ritorniamo all’episodio di cronaca nera; l’eliminazione degli affiliati e dei gregari non ha comportato il recupero degli spazi lasciati vuoti a favore da parte delle Istituzioni. Se qualcuno ne vuole la riprova, chiedesse agli abitanti di molte zone “liberate” se sentono essere venuto meno il gioco criminale e la risposta sarebbe, nel novanta per cento dei casi, “no”!
I vuoti di potere criminale sono stati occupati da giovanissimi, molto violenti e spregiudicati, spesso assuntori di cocaina, che scimmiottano i codici d’onore dei loro predecessori, di cui vantano parentele vere o presunte e che vogliono imporre il loro potere con la forza; vantano un unico carisma: la violenza bruta ed incontrollabile.
Mi guarderei bene dall’ascrivere l’episodio di Aversa a dinamiche “neocamorristiche”; saranno le indagini che stabiliranno l’accaduto ed i ragazzi coinvolti, per la loro giovane età, meritano soltanto vicinanza ed eventualmente compassione.
Ma essi, come i giovanissimi di Scampia che si allenano per comandare le ricchissime piazze di spaccio, hanno ereditato un brodo di coltura nel quale certe mentalità e certe logiche paramafiose possono attecchire facilmente.
La repressione ha fatto benissimo la sua parte; i magistrati e gli uomini delle forze dell’ordine hanno ottenuto risultati che non è esagerato definire eccezionali, ma cosa hanno le altre istituzioni per evitare che sui terreni rinascessero le male piante?
Pochissimo, per non dire niente; le agenzie educative di ogni tipo che avrebbero dovuto operare sui territori difficili ed avrebbero dovuto gettare i semi della rinascita dove sono e se ci sono cosa hanno fatto? Sul pano della prevenzione, tranne l’impegno di qualche associazione di volontariato operante con enormi difficoltà e senza aiuto, c’è pochissimo da segnalare.
Eppure da anni i tanti conoscitori del territorio avvertivano, inascoltate cassandre, che il semplice intervento sul piano penale e criminale non sarebbe bastato.
Episodi come quelli di Aversa non possono e non devono essere archiviati come i “soliti” incidenti della movida violenta; sono probabilmente tutt’altro; un campanello d’allarme che, si spera, non resterà ancora una volta inascoltato.

“Primo, ripulire i partiti” – Raffaele Cantone, su l’Espresso – 13 febbraio 2013

A vent’annni da Mani pulite e un iter parlamentare irto di ostacoli, nel novembre del 2012 è stata finalmente varata la legge ribattezzata “anticorruzione”.

Si tratta, in verità, dell’adempimento di un dovere assunto in sede di ratifica di varie convenzioni internazionali ma la legge va ascritta a merito del governo Monti e soprattutto alla caparbietà dei ministri della Funzione pubblica Patroni Griffi e della Giustizia Severino, che sono riusciti a trovare la quadra fra le posizioni distantissime dei partiti della “strana maggioranza”, anche se questa estenuante mediazione ha inciso sulla bontà del testo approvato. La riforma quindi deve considerarsi solo il primo passo di una serie di interventi ulteriori ed indispensabili, di cui dovrà farsi carico il prossimo Parlamento e governo.

Anzitutto, è necessario che vengano rapidamente resi operativi gli organismi e i meccanismi introdotti con questa legge. La nuova autorità nazionale anticorruzione; il piano anticorruzione di cui ogni amministrazione deve dotarsi, nominando un responsabile, che può essere chiamato a rispondere sul piano disciplinare delle inosservanze; gli obblighi di trasparenza e pubblicità per le attività amministrative; i vincoli per il passaggio di pubblici ufficiali nelle aziende privare.

Raffaele Cantone (Ilaria Ascione ph. per wrongradio.com)

Raffaele Cantone
(Ilaria Ascione ph. per wrongradio.com)

In questa fase, è indispensabile evitare che i tanti adempimenti richiesti alle amministrazioni centrali e territoriali non si trasformino in inutili e gravosi oneri burocratici. Troppi “piani” sono stati chiesti agli enti negli ultimi anni senza che nessuno si curasse di verificarne l’utilità concreta.

Del resto è ancora necessaria l’emanazione di altri decreti attuativi, ma forse da subito andrebbe rivista e migliorata anche la normativa adottata di fretta dall’attuale governo sulle incandidabilità. Le scelte dei partiti in campagna elettorale e il caos che si è verificato per alcune esclusioni di “impresentabili” dimostrano che non si è ancora del tutto maturi per valutazioni squisitamente etiche da lasciare ai partiti.

Bisogna avere il coraggio di adottare norme più restrittive che escludano la candidabilità per qualunque carica (locale o nazionale che sia) per i rinviati a giudizio per reati di mafia e per i condannati anche in primo grado per i reati contro la pubblica amministrazione.

In questa prospettiva, visto il legame forte che c’è soprattutto in certi contesti territoriali fra mafie e corruzione, andrebbe anche resa più stringente la normativa sulle infiltrazioni mafiose negli enti locali. Bisognerebbe ampliare i casi in cui viene negata agli amministratori coinvolti negli scioglimenti la possibilità di candidarsi. E consentire lo scioglimento per mana delle società miste o partecipate e, perché no, anche dei consigli regionali.

Sempre nell’ortica della prevenzione (e alla luce di quanto sta emergendo dalle indagini sulle distrazioni dei fondi pubblici destinati non solo ai partiti) sarebbe opportuno imporre la massima pubblicità per i contributi di qualsivoglia genere erogati dalle amministrazioni e il dovere di rendiconto per chi li ha ricevuti. Con l’obbligo di richiedere la restituzione nel caso in cui non siano utilizzati per gli scopi prefissi e con la possibilità del controllo esterno della Corte dei conti.

È arrivato il momento di adottare una legge che regoli la vita interna dei partiti, anche in ossequio a quanto previsto dall’articolo 49 della Costituzione, introducendo come obbligatorio il metodo democratico interno ed imponendo criteri di trasparenza per la redazione dei bilanci e l’obbligo di indicare tutti i contributi pubblici e privati. Per renderlo più incisivo, sarebbe persino auspicabile che particolari responsabilità gravassero su chi gestisce le casse dei partiti: porrebbero essere considerati pubblici ufficiali e quindi assoggettati alle stesse regole che valgono per il ragioniere capo di un qualsiasi ente. In entrambi i casi si maneggia denaro pubblico e quindi andrebbe richiesto il medesimo dovere di fedeltà.

Regole analoghe andrebbero estese alle fondazioni o associazioni di carattere politico che negli ultimi anni si sono moltiplicate, sostituendo spesso le vecchie correnti e spostando fuori dai partiti anche alcune attività tipiche degli stessi. In una democrazia della trasparenza è necessario che si sappia chi sono i finanziatori di queste strutture e come vengono spesi i denari che a loro giungono, per evitare conflitti di interessi ed un esercizio lobbistico del potere politico.

A proposito di lobby, bisogna mettersi in linea con gli altri Paesi occidentali; le lobby che agiscono in trasparenza non sono un male per la democrazia, ma solo se ci sono regole chiare, conoscendo chi opera e per conto di chi. Il rischio da evitare è che certi lobbisti, scoperti dalle indagini giudiziarie degli ultimi anni, diventino di fatto i veri titolari dei poteri decisori in molte branche dell’amministrazione.

Gli enti pubblici, soprattutto quelli territoriali, dovrebbero limitare (se non del tutto dismettere) le attività imprenditoriali.

Quanto è emerso sul malaffare delle società create da Comuni e Regioni o ancora più di recente con le fondazioni bancarie controllate dai medesimi enti dimostra i rischi di distorsioni. Gli enti pubblici si limitino a svolgere funzioni soprattutto di controllo, senza sovrapposizioni fra controllori e controllati! Anche per questo, non si può più rinviare il varo di una disciplina vera sul conflitto di interessi che prescinda dalle polemiche, spesso strumentali, che hanno riguardato l’onorevole Berlusconi: oggi ci sono nel rapporto pubblico-privato tantissime ipotesi di conflitto di interessi che minano l’imparzialità delle istituzioni. 

Molto resta da fare anche sul piano della repressione penale. Tra le ultime norme approvate vanno subito riviste quelle sul traffico di influenze, che punisce chi sfrutta le relazioni con un pubblico ufficiale per ottenere vantaggi (la cui pena non permette l’arresto né le intercettazioni ed è quindi poco efficace) e quella sulla corruzione fra privati, che di fatto non consente di stroncare le mazzette pagate ai dirigenti delle società private, per ottenere commesse o appalti.

Gran parte degli organismi internazionali che hanno radiografato in questi ultimi anni l’Italia, sono poi assolutamente d’accordo su un punto: va ripristinato il falso in bilancio. Nelle pieghe della contabilità delle società si nascondono spesso i fondi neri per pagare mazzette e la sostanziale depenalizzazione è stato uno dei peggiori risultati legislativi degli ultimi anni.

Andrebbe rivista in modo complessivo anche la materia dei reati tributari. Non bisogna necessariamente punire tutte le ipotesi di evasione o elusione con sanzioni penali (anzi), ma bisogna prevedere pene severe per i fatti più gravi: con le norme attuali nemmeno Al Capone avrebbe fatto un giorno di carcere per evasione fiscale!

Soprattutto nella legislazione penale andrebbe messa mano alla normativa sulla prescrizione. I tempi entro i quali il reato di corruzione si estingue restano troppo brevi e non consentono di arrivare a una sentenza di condanna. Sarebbe auspicabile la totale abrogazione della legge Cirielli che ha finito per favorire solo i colletti bianchi o comunque andrebbero, da subito, equiparati i delitti contro la pubblica amministrazione, quanto a prescrizione, a quelli in materia di mafia. Questo riguarda anche il voto di scambio, che oggi si prescrive in tempi risibili e nel caso delle cosche punisce solo il pagamento in denaro delle preferenze, offrendo strumenti limitati per stroncare l’intervento dei clan nelle competizioni elettorali. 

Ed ancora bisognerebbe rivedere le disposizioni sulle pene accessorie: chi è condannato per reati contro la pubblica amministrazione o per delitti comunque gravi non deve ritornare negli uffici di provenienza o in altri analoghi. Le logiche troppo perdoniste delle commissioni disciplinari interne agli uffici hanno consentito ai condannati di restare al loro posto o persino di fare carriera.

Per intervenire sui patrimoni costruiti grazie alla corruzione sarebbe utile la punizione dell’autoriciclaggio anche nei reati contro la pubblica amministrazione; è un non senso che non venga sanzionata la ripulitura o il reinvestimento del denaro da parte di chi abbia intascato tangenti.

Infine, per spezzare il rapporto omertoso che lega corrotto e corruttore vanno garantite sia misure antidiscriminatorie il favore di chi denuncia, in analogia a quanto avviene per i whistleblowers dell’esperienza anglosassone sia individuati sconti di pena per coloro che collaborano con i magistrati.

“Le promesse e il peso dei condoni” – Raffaele Cantone, su Il Mattino di Napoli, ed. naz. di lunedì 11 febbraio 2013

Dopo un esordio in tono sommesso, da qualche giorno le proposte di condoni, fiscale ed edilizio, hanno fatto irruzione in campagna elettorale. Al di là di chi le ha avanzate, coagulano intorno a sé interessi eterogenei di una parte non irrilevante di cittadini elettori.
Essa è formata, per quel che riguarda la misura fiscale, non solo dai grandi evasori, ma anche da quelle “partite Iva” che si sentono tartassate dalla presunta rapacità del fisco; per l’altra misura, sia da speculatori edilizi (spesso legati alle mafie) che dagli autori di abusi per utilizzo personale che temono l’abbattimento dei loro manufatti. E’ la prospettiva di quest’ultima sanatoria appare un’abile mossa elettorale soprattutto in Campania, regione il cui risultato al Senato è ritenuto dai sondaggisti in bilico.

real estate concept with US dollars and mini house, shallow dofPer un difetto della legislazione regionale e per il conseguente intervento della Corte costituzionale, gli immobili abusivi campani non hanno, infatti, potuto beneficiare del condono del 2003 e rischiano oggi di essere abbattuti dalla magistratura. Questa disparità di trattamento rispetto al resto d’Italia, a cui la politica locale e nazionale non ha saputo dare risposta, ha generato in molti Comuni dei comitati contro gli abbattimenti ed a favore della sanatoria, dietro a quali, accanto ai portatori di interessi più o meno legittimi, si muovono anche personaggi ambigui; è in ballo un pacchetto di voti che fa gola e che potrebbe essere determinante per le sorti elettorali nazionali.
Prescindendo da qualsiasi valutazione di ordine etico e morale, l’adozione di condoni rischia di essere un enorme danno sotto più aspetti. Il vantaggio indiscusso di essi è il sicuro incasso da parte dell’erario di una cospicua somma di denaro, inferiore, però, alle roboanti cifre indicate, come dimostrano i provvedimenti precedenti dello stesso tipo.
Un dato non certo da sottovalutare in periodi di vacche magre se però le controindicazioni non fossero ben maggiori. Ve ne è una di palmare evidenza: si creano clamorose disparità di trattamento con chi ha rispettato le leggi. L’evasore fiscale, aderendo alla sanatoria, paga una somma di certo inferiore a quella che avrebbe dovuto, si rimette in regola e non può nemmeno essere oggetto di accertamenti; è considerato a tutti gli effetti un contribuente onesto alla pari di chi, invece, non avendo nulla da farsi perdonare rischia persino il danno e la beffa di subire accertamenti e di pagare multe salate anche per errori formali.

Ancora più paradossale è il premio di chi ottiene la sanatoria edilizia; con un piccolo obolo il suo immobile viene regolarizzato e vale dieci volte tanto rispetto al terreno, ad esempio, del vicino che scrupolosamente ha rispettato i divieti di costruire. Ma c’è un altro dato che pure viene dall’esperienza; i condoni per gli anni successivi comportano un arretramento nella lotta all’evasione ed al sacco del territorio; non incentivano, infatti, comportamenti virtuosi nella speranza (spesso soddisfatta), che i termini per aderire vengano riaperti ed ampliati gli ambiti temporali. Oltre ad aumentare l’illegalità, si riducono, quindi, le entrate fiscali future: diventa necessario aumentare tasse, aliquote o balzelli vari per far quadrare il bilancio, a danno dei contribuenti onesti che hanno stretto la cinghia in questo periodo.

Ma c’è un vero macigno sulla strada del condono (soprattutto quello fiscale), che in questa fase tutta protesa alla ricerca del consenso si fa finta di dimenticare. L’Italia, infatti, come membro dell’Ue deve sottostare alle regole europee anche perchè una delle nostre imposte (l’Iva) alimenta il bilancio comunitario. In un recente passato, l’Unione Europea ha già contestato un precedente condono (quello del 2002), ottenendo anche una sentenza di condanna per infrazione da parte della Corte Europea. Il giudice internazionale, oltre a stigmatizzare il condono come “un istituto che di fatto favorisce i contribuenti colpevoli di frode”, ha dichiarato illegittime alcune disposizioni di quel provvedimento perchè con esse si rinunciava all’accertamento ed alla riscossione dell’imposta, accontentandosi di una somma non equivalente a quella dovuta.

Un nuovo condono, quindi, comporterebbe di certo un’altra procedura di infrazione che rischierebbe anche di costare all’Italia, in termini di multe comunitarie, una parte consistente dell’incasso. Ma i condoni sono dannosissimi per l’immagine del Paese; in un momento storico in cui la credibilità internazionale influenza i mercati ed incide sui tassi da pagare per i titoli di Stato emessi, dimostrare di essere incapaci di perseguire chi non rispetta le regole ed anzi essere disponibili a scendere a patti con loro ci farebbe ancor più recedere nelle classifiche internazionali di credibilità. Ed allora si eviti di far balenare la possibilità di misure che restano di cortissimo respiro, con pochi benefici (soprattutto per pochi) e tanti danni invece per tutti i cittadini e per l’intero Stato.

 

“Le imprese e lo spread della camorra” – Raffaele Cantone, su Il Mattino di Napoli, martedì 29 gennaio 2013

tassi_interesseNel corso di un convegno organizzato a Napoli dall’Associazione nazionale funzionari di polizia è stata presentata una ricerca di due docenti universitari (Giovanna Mazzanti e Sara Rago), su “legalità e credito”.
Lo studio, confluito in un instant book, ricco di notizie e dati e con l’autorevole prefazione del professor Zamagni, si è proposto l’ambizioso scopo di verificare in che modo i fattori ambientali, e fra essi la presenza in certi territori della criminalità, possano influenzare il mercato del credito.
I risultati del lavoro, pur dando doverosamente atto di come sia difficile individuare un legame di derivazione certa fra categorie economiche e vicende sociali, evidenzia numeri obiettivamente interpretabili.
Nei luoghi in cui è più forte la presenza criminale è più elevato il tasso di interesse bancario richiesto alle imprese e tale rapporto è costante almeno per i cinque anni oggetto di studio.
In particolare, è decisamente impressionante che nell’ultimo anno analizzato (il 2011), a fronte di un tasso medio praticato in Lombardia del 3,66%, quello della Calabria era del 7,47% e della Campania e della Sicilia di poco superiore al 6,20%.
Nella stessa nazione, a distanza di appena mille chilometri, il denaro costa il doppio (o la metà)! E’ quasi pleonastico aggiungere che le regioni meridionali citate si trovano al primo posto, invece, nella classifica della presenza della criminalità di tipo mafioso.
Non sono in grado di giudicare la bontà complessiva della ricerca presentata; posso immaginare che i numeri proposti hanno ragioni in parte diversi e connessi ad altre cause (quali, ad esempio, la mancanza di infrastrutture, un alto tasso di insoluti, le difficoltà endemiche di funzionamento della pubblica amministrazione), ma certificano, comunque, in modo inoppugnabile quanto da tempo si ripete e cioè che la criminalità è uno dei fattori principali del sottosviluppo meridionale.
In regioni economicamente più arretrate il costo quasi doppio del denaro significa una pesante zavorra a carico degli imprenditori onesti e quindi un freno al tentativo di operare in regime di reale concorrenza.
Ma come nella famosa storiella del cane che si morde la coda, esso rischia di essere un (ulteriore) incentivo alle mafie che, con la loro enorme liquidità, possono offrire alle imprese accanto al denaro anche un pacchetto di servizi ultra competitivo che va dai rapporti con il mondo delle istituzioni locali, alla “capacità” di risolvere ogni genere di problemi con i fornitori, debitori e/o dipendenti.
Di questa situazione gravissima in cui si trova il Meridione non si sta sentendo affatto parlare nel già da tempo iniziato dibattito preelettorale.
Risulterebbe, forse, solo frustrante ricordare come la Germania dell’immediata post unificazione vantava differenziali economici fra Est ed Ovest ben peggiori, colmati in poco più di un decennio, mentre i nostri continuano solo a divaricarsi in pregio.
Ma è il tema “legalità” ad apparire abbastanza latitante ed essere stato affrontato , ad oggi, quasi soltanto con il certamente apprezzabile (anche se probabilmente parziale), maquillage delel liste elettorali, liberate dai cd impresentabili; laddove, invece, per abbattere questo inaccettabile spread nazionale bisognerebbe lavorare sulle cause.
Limitandosi a questo fronte specifico, ci sono due ambiti da attenzionare.

Il primo, è quello dell’efficienza dell’amministrazione pubblica e del connesso alto livello di corruzione che ci pone nelle classifiche internazionali alla pari del Ghana. La legge anticorruzione voluta dal Presidente Monti e dai ministri Severino e Patroni Griffi, può essere considerata positiva a condizione che sia l’inizio di un percorso ancora lungo che richiede interventi ulteriori normativi sul piano degli obblighi di trasparenza ed efficienza delle amministrazioni, ma anche l’adozione di norme penali ineludibili.
Il secondo, è quello di portare decisamente in alto l’asticella del contrasto ai poteri criminali; agli ottimi risultati ottenuti nei confronti dell’ala militare delle mafie, devono essere aggiunti quelli ancora insufficienti sul fronte dell’attacco ai patrimoni mafiosi (da riutilizzare poi in modo efficiente) e su quello davvero devastante delle infiltrazioni delle mafie nel mondo delle istituzioni e soprattutto degli enti locali.
Anche qui, sono necessari sinergici interventi normativi ed amministrativi e scelte strategiche anche sul piano delle persone che li attueranno, chiare e cristalline.

Da cittadino italiano e soprattutto meridionale, su questi argomenti mi augurerei di conoscere risposte e proposte di chi si candida a guidare la nazione in futuro.