“La camorra si fa pubblicità su Facebook”: Raffaele Cantone, ne “Il caso”, su “Il Mattino” di Napoli, edizione nazionale di giovedì 6 gennaio 2011.

Scorrendo le pagine di Facebook si trovano vari gruppi di discussione sul tema «camorra».
Molti di essi rappresentano tentativi interessanti, messi in piedi soprattutto da giovani per cercare di capire, scambiarsi informazioni ed organizzare iniziative di sano contrasto.
Non mancano, però, anche gruppi che inaspettatamente e senza alcun pudore inneggiano alla camorra o al «sistema», termine con cui soprattutto molti affiliati napoletani definiscono la camorra stessa.


Proprio in questi giorni mi è capitato di incrociare uno di questi gruppi a cui avevano dato l’adesione numerosissime persone, che avevano lasciato sulla bacheca commenti e post di entusiastica partecipazione.
Il primo moto rispetto ad essi è stato, ovviamente, di stupore; ma poi a mente fredda, mi sono detto, la cosa non deve meravigliare più di tanto.
Non molti mesi fa, subito dopo l’arresto di uno dei pericolosi e sanguinari esponenti della camorra, quel Giuseppe Setola che per quasi un anno aveva insanguinato le strade della provincia napoletana e casertana, un gruppo di veri e propri fan era comparso sulla rete e, per quanto durato poco, si era caratterizzato per interventi a dir poco apologetici delle gesta criminali dell’efferato killer.
Non c’è nemmeno da stupirsi che soggetti vicini alla camorra sappiano utilizzare perfettamente gli strumenti informatici e la navigazione in Rete.
Chi immagina che gli affiliati siano arretrati rispetto alle nuove tecnologie evidentemente ha una visione retrograda.
Ricordo che più di cinque anni fa, in un’indagine che riguardava un gruppo di giovanissimi affiliati ad uno dei gruppi egemoni dei casalesi, nel corso delle intercettazioni telefoniche ed ambientali sentii parlare per la prima volta di Skype.
Durante un colloquio intercettato costoro dovendo trattare di vicende delicate si dicevano «ci sentiamo dopo su Skype».
Confesso che per me era un termine assolutamente sconosciuto e solo grazie ai militari che svolgevano le indagini venni a conoscenza che si trattava di un innovativo sistema di comunicazione, anche video, che passava per il tramite di internet, sostanzialmente gratuito e soprattutto non intercettabile dalle forze dell’ordine con gli strumenti tradizionali.
Utilizzava una sistema criptato che lo rendeva quasi invulnerabile. Quei giovani, il cui livello di cultura scolastica presumibilmente era molto basso, si muovevano, però, benissimo nella Rete; le indagini accertarono che attraverso quelle comunicazioni si erano creati rapporti con criminali stranieri e che si erano intrecciati affari illeciti che andavano dal gioco d’azzardo agli investimenti nel traffico di droga.
L’impossibilità di intercettare i colloqui con gli stranieri depotenziò non poco i pur brillanti risultati ottenuti a seguito di mesi e mesi di attività investigativa. Tornando ai gruppi «filocamorristici» di Facebook non c’è nemmeno da meravigliarsi se tanti soggetti aderiscono ad essi.
Pur scremando i numeri e sottraendo ad essi quelle persone che sulla Rete partecipano ad ogni genere di gruppi, le adesioni restano quantitativamente significative e si spiegano con una caratteristica tipica delle organizzazioni mafiose; esse hanno un’eccezionale capacità di attrarre consenso soprattutto (ma non solo), negli ambienti marginali, dove l’adesione al «sistema» può persino rappresentare un momento di affermazione sociale.

I ghetti che ormai sono presenti nella città e nei comuni dell’hinterland, completamente dimenticati da ogni tipologia di politica sociale di sostegno, sono popolati di tanti giovani senza alternative che, dediti a reati minori, vengono poi risucchiati nel vortice della manovalanza dei gruppi camorristici, quasi come una sorta di una promozione nella gerarchia del crimine.

Ma c’è anche un aspetto che non credo vada sottovalutato: il rischio che la parola camorra (o suoi omologhi tipo, mafia, ’ndrangheta, sistema), possa persino trasformarsi in quella che i pubblicitari chiamano «brand», qualcosa cioè capace di attrarre attenzione ed interesse in molti settori che vanno dalla letteratura, alla pubblicità allo spettacolo.
Gruppi su internet che utilizzano quella parola potrebbero essere creati ad arte anche per lanciare campagne pubblicitarie di prodotti che interessano alcune fasce specifiche della popolazione.
Non credo che questa sia un’ipotesi del tutto peregrina; può essere utile ricordare, ad esempio, quanto accaduto in una recente famosa trasmissione, strutturata come un reality e che macina tanta audience.
Quest’anno, fra gli altri ami lanciati al pubblico, i media hanno martellato per giorni evidenziando come uno dei concorrenti fosse il figlio di un «camorrista».
La speranza è che non diventi una moda.

Un pensiero su ““La camorra si fa pubblicità su Facebook”: Raffaele Cantone, ne “Il caso”, su “Il Mattino” di Napoli, edizione nazionale di giovedì 6 gennaio 2011.

  1. Pingback: IP Osgoode » The ARCEP, Skype and National Security

Lascia un commento